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Percorsi ecclesiali

La Pasqua 2025 nella Chiesa ambrosiana

Sirio 8 - 14 dicembre 2025
Radio Marconi cultura
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Giovedì Santo

«Edificare fraternità per completare la Pasqua che celebriamo nel mistero»

Nella Messa “in coena Domini” l'invito dell'Arcivescovo, in una società incline alla disgregazione, a riscoprire il valore di condividere la mensa con la propria famiglia o la propria comunità. Lavanda dei piedi a sei coppie in attesa di un figlio

di Annamaria BRACCINI

17 Aprile 2025
La Lavanda dei Piedi (foto Andrea Cherchi)

«La memoria di Gesù, che ha mangiato la Pasqua, la cena del Signore può insegnarci una grammatica della vita da condividere, una fraternità da edificare. Riceviamo la grazia di una carità spicciola, che si traduce in gesti semplici, in forme buone di vita condivisa». É questo l’auspicio dell’Arcivescovo che, presiedendo la celebrazione vespertina “nella Cena del Signore”, richiama il senso dell’antica tradizione giudaica del fare Pasqua come “mangiare la Pasqua”, come fece Gesù nella sua ultima cena con i discepoli. 

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La celebrazione ripercorre i momenti inziali della Passione, aperta con il rito della luce e preceduta dal gesto della Lavanda dei Piedi compiuto su 6 coppie di giovani sposi in attesa di un figlio. Segni di vita che nasce, di futuro, di fiducia e speranza in questo anno giubilare, dedicato appunto all’essere “pellegrini di speranza”. Subito dopo la Messa, concelebrata dal Vicario generale monsignor Franco Agnesi, dal Moderator Curiae monsignor Carlo Azzimonti e dai Canonici del Capitolo metropolitano, presenti tanti fedeli e membri di Confraternite e Ordini cavallereschi, come tradizione.

I fedeli in Duomo (foto Andrea Cherchi)

Stare a mensa insieme

«La celebrazione della “Cena del Signore” ha qualcosa da dire a proposito del mettersi a mensa», osserva l’Arcivescovo nell’omelia, attenta a evidenziare come ormai, nella nostra vita quotidiana, persino il mangiare insieme – emblema della vita in famiglia e di comunità – sia divenuto un gesto individuale, dove «l’io prevale sul noi».

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«La consuetudine così diffusa nella nostra cultura italiana si è rarefatta – scandisce, infatti, monsignor Delpini -. Diventa difficile che una famiglia possa ritrovarsi per la cena o per il pranzo. Le difficoltà non raramente sono imposte dagli orari di lavoro e dal moltiplicarsi degli impegni dei componenti della famiglia o della comunità. Ma spesso diventa un’abitudine quella di non mangiare insieme, una scelta di comodo, una pretesa di libertà; si potrebbe dire, è il prevalere dell’io sul noi».

«“Perché non mangiate insieme?”, chiedo alle famiglie – spiega -, chiedo ai preti, alle persone legate da vincoli di parentela. “Noi mangiamo insieme, ma è come essere soli perché ciascuno è intento a trafficare con il suo cellulare, a guardare la sua partita, a inseguire i suoi spettacoli”, mi rispondono».

L’Arcivescovo durante l’omelia (foto Andrea Cherchi)

Una società che non si fa comunità

«Talora chiedo – continua – “Dove andate per Pasqua?” e intendo “Con chi condividete il pranzo di Pasqua?”. Invece, con frequenza, mi viene risposto descrivendo una località turistica, un viaggio, un’esperienza esotica. Se esploriamo le ragioni per cui si è sbiadito il segno del mettersi a tavola si può, talora, riconoscere i sintomi di un malessere, lo smarrimento di un’appartenenza».

«Sedere a tavola sembra diventato sempre più spesso un modo per gustare qualcosa di originale, con l’attenzione concentrata su quel che si mangia, invece che sulle persone. È il segno di una società e di una comunità che non hanno desiderio di fare comunione».

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La riconciliazione e l’ospitalità

Da qui la conclusione: «Il mistero che celebriamo non può restare un’astrazione, un principio da proclamare. È piuttosto quella grazia che siamo chiamati ad accogliere: la grazia della comunione, della riconciliazione, la grazia di essere un segno e una speranza per il nostro tempo che sembra incline a disgregarsi. In questi giorni, vediamo se non sia possibile riconciliarsi con quelle persone con cui i rapporti sono diventati difficili. Chiediamo la grazia di essere di essere ospitali con parenti, amici, con i poveri, con coloro che non hanno nessuno e, magari, abitano a pochi metri da noi. Essere a mensa insieme, è forse un modo per completare, a tavola, la Pasqua che celebriamo nel mistero».

La riposizione del Santissimo (foto Andrea Cherchi)

Poi, dopo altri momenti suggestivi – come quello nel quale i pueri cantores della Cappella musicale del Duomo si dispongono intorno all’altare maggiore a semicerchio, cantando l’antifona ambrosiana che introduce solennemente alla liturgia eucaristica -, al termine della celebrazione l’Eucaristia viene portata in processione, tra le mani dell’Arcivescovo, presso l’altare laterale della Riposizione dove resterà fino alla Veglia pasquale.