«Credo che ci siano dei momenti in cui la vita è troppo breve, pesante, e l’impressione di non riuscire più a far fronte ai problemi diventa una sensazione che minaccia la speranza. Questa opera mi pare che suggerisca che vi è sempre la possibilità di far fronte, non perché si è coraggiosi, o determinati o vigorosi, ma perché ci si appoggia a Colui che è morto per noi. La figura di Maria che sostiene Gesù, e che in realtà è sostenuta da Lui, mi ha sempre ispirato questa fiducia. Il gioco della luce, la narrazione comunicata attraverso la musica e lo sguardo, ha messo in evidenza con particolare efficacia questo messaggio e spero che tutta l’attività di della città, tutta la capacità e l’intraprendenza di Milano, possano essere sostenuti non da una specie di mania di protagonismo o da una pretesa di autosufficienza, ma sempre dal potersi appoggiare».

È stata questa la prima impressione a cui ha dato voce personale l’Arcivescovo, appena conclusasi la visione, in prima assoluta, di «Mother», la videoinstallazione che illumina di una luce nuova – è proprio il caso di dirlo – la «Pietà Rondanini» di Michelangelo. Opera del famoso artista contemporaneo Robert Wílson, presente all’evento cosi come non molte altre decine di persone, tra cui l’assessore alla Cultura del Comune di Milano, Tommaso Sacchi, e Alessia Cappello assessora allo Sviluppo Economico e Politiche del Lavoro, i vertici del Salone del Mobile con la presidente Maria Porro e archistar come Stefano Boeri. Tutti riunti nell’iconico spazio dell’Antico Ospedale Spagnolo nel Cortile delle Armi del Castello Sforzesco, dove ha trovato posto dal 2 maggio 2015, in un allestimento di Michele De Lucchi (anch’egli seduto tra il pubblico per l’occasione) la Pietà di Michelangelo. E non vi era, quindi, modo migliore per inaugurare, in anteprima con la collaborazione del Comune di Milano Cultura, l’edizione 2025 del Salone del Mobile Milano, in programma dall’8 al 13 aprile, nell’anno di Euroluce.
«Mother»
Con un progetto di rara intensità tra arte, luce e suono, «Mother» (madre), infatti, dà vita a un gioco che passa dall’oscurità completa, da cui si avvia la performance, ai fasci di luce – ora più tenui, ora più intensi di biancore – per un’installazione, che si misura con la potenza del “non finito”, sottolineato ulteriormente dalle sonorità dello Stabat Mater nella versione vocale e strumentale del compositore estone Arvo Pärt. Di cui l’opera intende celebrare il 90esimo compleanno. Così, è stato notato da autorevoli studiosi, «nel rispetto dell’allestimento nell’Ospedale Spagnolo, Wílson realizza una propria visione dell’opera michelangiolesca», evidenziando il valore universale del dolore e della speranza e «“Mother” prende la forma di un’opera totale, di una sequenza di musica, luci e immagini della durata di 30 minuti», con l’esecuzione dello Stabat Mater dal vivo (affidata all’ensemble Vox Clamantis, diretto da Jaan-Eick Tulve, e da La Risonanza, diretta Fabio Bonizzoni, ma prevista solo dal 6 al 13 aprile).

«Quando ho visto per la prima volta la “Pietà” incompiuta, sono rimasto a guardarla per oltre un’ora», ricorda l’artista di origine texana. «Aveva un potere enorme, una sorta di mistero». Mistero che si ripercuote, grazie alla suggestione della luce e della musica, sugli spettatori («Mother» su prenotazione e a orari fissi, sarà visibile fino al 18 maggio prossimo), chiamati a riflettere sul senso tutto umano della «Pietà», protagonista assoluta dello spazio, tra antichi lacerti di affreschi alle pareti, finestre vere e una piccola sul muro -, che pare rimandare a un oltre, per chi crede, fatto del mistero della morte e della gloria della Risurrezione, simboleggiata anche da una grande immagine di pietra rosso fuoco posta a terra e illuminata anch’essa improvvisamente da un coup de théâtre. Dalla luce della vita al buio della morte, che rimanda ancora alla vita nell’abbraccio struggente di Maria «figlia del tuo Figlio».
La «Pietà Rondanini»
Così come vicino alla fine – e quindi costretto a riflettervi – fu Michelangelo che lavorò al suo capolavoro, infatti non finito e concepito come monumento per la propria sepoltura, dal 1552 a sei giorni prima della morte arrivata a quasi 90 anni nel 1564. Capolavoro, peraltro, non compreso per molto tempo e acquistato con lungimiranza dalla Municipalità di Milano nel 1952, attraverso una pubblica sottoscrizione.
E torna allora alla mente l’espressione «A questa morte si appoggia chi vive» che il vescovo Mario ha voluto porre, con l’immagine appunto della «Pietà Rondanini», sull’immaginetta con la preghiera per la Chiesa di Milano, da lui composta all’inizio del suo ministero quale Arcivescovo. Preghiera distribuita, negli anni, nei luoghi della sofferenza – e, forse, non è un caso che la «Pietà» sia posta nell’Antico Ospedale che, ai tempi della dominazione spagnola, ospitava i soldati malati – tra le case e la gente, i giovani e gli anziani, nei Decanati e nelle Visite pastorali.




