Non poteva esserci periodo migliore di quello quaresimale per inaugurare l’installazione «Breathtaking», realizzata dal fotografo Fabrizio Ferri ed esposta in prima assoluta mondiale al Museo di Storia Naturale di Milano (corso Venezia, 55) da oggi fino al 27 aprile. Perché i ritratti delle dodici celebrità avviluppati dalla plastica, che emergono dal fondo nero e dal silenzio della sala circolare in cui si trovano, ricordano proprio dodici pietà. Da Isabella Rossellini a Charlotte Gainsbourg, da Willem Dafoe a Gala Gonzales, da Susan Sarandon a Misty Copeland: nei loro occhi – atterriti, attoniti, dolenti – esplode tutta la sofferenza per il destino del mare e dei suoi abitanti, minacciato dalla mano dell’uomo. Un destino che è ben rappresentato dalla bara di cristallo riempita d’acqua di mare che si trova al centro della stanza.

Sul fondo, uno dei tanti rifiuti restituiti dagli oceani, un chiodo arrugginito: «Con quel chiodo – ha spiegato l’autore Fabrizio Ferri – l’uomo sta crocifiggendo il mare e quindi anche sé stesso». Ecco perché i ritratti non sono incorniciati, ma “trafitti” alla parete proprio da chiodi di ferro grezzo. Su tutto, il silenzio assordante, realizzato su suggerimento di Marina Abramovich grazie a cuffie insonorizzate, che riproduce il silenzio degli abissi.
Fotografo, prima di attualità poi di moda, ritrattista delle più grandi celebrità del nostro tempo, musicista, imprenditore, filantropo e da pochissimo anche scrittore (esce proprio oggi per Rizzoli il suo primo libro, l’autobiografia Fin qui. Fotografia di una vita), Ferri, definito da più parti come artista “rinascimentale”, confessa di non conoscere approfonditamente l’enciclica Laudato si’, ma di apprezzare l’impegno della Chiesa sui temi ecologici: «Penso che la posizione di parte della Chiesa sia estremamente avanzata sull’ambiente, che ci sia una partecipazione autentica verso i problemi dell’inquinamento. Credo che sia necessario superare l’aspetto della denuncia e chiamare ancora più forte a una corresponsabilità».
Proprio quello che Ferri ha voluto fare con la sua installazione: «Stiamo distruggendo l’ecosistema – dice -. Di solito, di fronte a questi problemi, si denuncia. Io non ho voluto puntare il dito, perché sarebbe stato un po’ come mettersi dalla parte “dei buoni”. Questo progetto non vuole essere una denuncia, ma un’assunzione di responsabilità».

Anche le dodici celebrità che hanno prestato il loro volto si sono sentite corresponsabili del destino del Pianeta. Ferri racconta di averli convocati, forte dei rapporti di conoscenza e amicizia con ciascuno di loro, senza entrare nei dettagli del progetto, solo chiedendo la loro disponibilità a fare da testimonial per la causa ambientale: «Arrivavano in studio senza sapere bene. Li ho visti tutti rimanere “senza fiato”. Prima di tutto perché chiedevo loro di mettersi nei panni di un delfino e di una foca soffocati dalla plastica, protagonisti di una fotografia che mia figlia mi aveva mandato chiedendomi se potevo fare qualcosa e dalla quale è nato tutto il progetto. Ma senza fiato anche dalla responsabilità che si sentivano addosso per la grandezza della causa. In quel momento sono stato certo che ognuno di loro avrebbe posato come persona e non come celebrità. Le loro reazioni sono tutte vere, c’è molta sincerità in questa installazione».

La forte partecipazione è stata concreta e palpabile nelle parole di Susan Sarandon, la prima ad aderire al progetto di Ferri: e come poteva essere diversamente visto il suo passato di artista coraggiosa e impegnata socialmente? Sarandon ha preso parte alla conferenza stampa di presentazione del progetto e, alla domanda se si senta a disagio nel clima intimidatorio nella nuova America di Trump, ha risposto trattenendo le lacrime: «Non mi sento coraggiosa, ma d’altra parte non vedo come potrei vivere con me stessa senza parlare. Non possiamo farci paralizzare dalla paura, oggi non possiamo prenderci il lusso di arrenderci». E ha affermato: «Sono contentissima di essere qui, nella vostra meravigliosa città, per fare la mia parte su una causa importantissima. La produzione di plastica è destinata ad aumentare, dai 500 milioni di tonnellate di oggi fino a 1,2 miliardi nei prossimi 30 anni. Il mare ha dato inizio all’umanità, se lui se ne va, anche noi ce ne andiamo con lui. Dipende da noi decidere di cambiare, per non finire proprio in quella bara di cristallo che viene rappresentata nell’installazione».

Sorprende che tra i volti che animano «Breathtaking» ci sia solo quello di un uomo, Willem Dafoe. Forse perché il dolore per la Madre Terra che muore è proprio di una sensibilità più femminile? «Possibile – risponde Fabrizio Ferri -. La rappresentazione della Terra, in effetti, è donna, madre. Forse gli uomini, che nella mia esperienza lavorativa hanno sempre il bisogno di “fare gli uomini”, hanno avuto paura di cambiare ruolo, di essere costretti a essere anche un po’ donne. Invece, dovevano semplicemente aiutarmi a raccontare questo momento terribile. Io non ho una risposta definitiva sul perché abbia ricevuto tanti no da parte di uomini che stimo e che si fidano di me, ma certamente questa è una riflessione che vale la pena fare».
Non bisogna pensare che «Breathtaking» sia un progetto cupo e pessimista. È invece permeato da un ottimismo che Fabrizio Ferri dichiara venirgli, inaspettatamente, proprio dalla stessa scienza che in questi decenni ha documentato le dimensioni del disastro. In particolare, il riferimento è a una ricerca condotta dall’Università Cattolica che ha fornito la base scientifica al progetto artistico. Lo illustra Pier Sandro Cocconcelli, preside della Facoltà di Scienze agrarie, alimentari e ambientali dell’Ateneo: «L’arte è il miglior veicolo per le buone cause, ma è bene che al messaggio culturale si affianchi anche un discorso scientifico. In questo caso è la nostra ricerca “Plasticalling”, che studia l’impatto delle macro, micro e nano plastiche sulla salute ambientale e umana. La stiamo conducendo secondo una prospettiva multidisciplinare che interseca tre dimensioni del problema: quella ambientale, quella economica e una terza che abbiamo definito antropologico-morale. L’obiettivo è stimolare azioni concrete, dal livello individuale a quello di aziende e istituzioni». Quali sono le soluzioni che si possono adottare contro il problema delle plastiche? «Il riciclo e il riuso sono senz’altro tra le più importanti – afferma Cocconcelli -. Ma è importante anche studiare come ridurre i materiali plastici o come incrementare l’uso di plastiche biodegradabili».
L’installazione è visitabile dal martedì alla domenica, dalle 10 alle 17.30 (ultimo ingresso 16.30). Si entra con il biglietto d’ingresso al Museo di Storia naturale, (5 euro intero, 3 euro ridotto). Il 1° e 3°martedì del mese ingresso gratuito dopo le 14. Info: museodistorianaturalemilano.it




