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Colzate: santuario di San Patrizio

11 Marzo 2003

Attorno si intravedono le linee dei monti, i boschi fitti d’abeti, i pascoli punteggiati di baite e in fondo la valle operosa, le case addossate, quelle vecchie, quelle nuove. E c’è un senso di pace, una quiete che riconcilia e ritempra.
Non si sa quando questo luogo venne dedicato a san Patrizio. Certamente in tempi lontani, forse nel dodicesimo secolo, forse ancora prima.
Ma è devozione insolita nelle province lombarde, quella per il padre dell’Irlanda cristiana. Una tradizione locale associa il suono di un cognome diffuso in questa parte della Val Seriana, «Bernini», con l’antico nome latino della terra irlandese, «Hibernia».
Aggiungendo il ricordo di ricchi mercati, di commercianti di lane che nel medioevo si spingevano in ogni parte d’Europa a proporre i loro prodotti. E furono proprio alcuni di loro, dice ancora la voce popolare, a portare in quest’angolo della bergamasca il culto per il l’infaticabile, sorprendente vescovo Patrick.

Vero o non vero, la realtà è quella di un santuario costruito pietra su pietra da una fede profonda, tenace, che per ogni secolo, per ogni generazione, ha voluto lasciare quassù un segno tangibile, un’impronta significativa.
In origine, probabilmente, fu soltanto un’edicola, o una modesta cappella posta accanto a una roccia imponente, lungo il sentiero montano. La sua presenza dava conforto, era guida nel cammino incerto.
E del resto, lo stesso Patrizio, come narra la leggenda, fu chiamato più volte dalla sua gente a liberare monti impervi e fitte boscaglie da presenze malvage, da ancestrali paure. Aveva potere di contrastare veleni e pestilenze, l’irlandese, cacciando serpenti e cani idrofobi, malattie e temuti contagi. Fin dagli inizi doveva esserci quassù anche una fonte, e c’è ancora: acqua con cui dissetarsi, acqua con cui purificarsi.
Una tappa che era rituale, salendo per il petroso tratturo: si bagnavano gli occhi, in particolare, sotto lo sguardo benedicente del santo vescovo, per ritrovare la luce interiore, per salvare con il corpo la propria anima.
Poi si volle costruire la prima chiesa: piccola, minuta, un’aula di pochi passi con un’abside a forma quasi di forno.
Un santuario semplice per gente semplice, ma eretto, come nella parabola evangelica, sul masso enorme che taglia a metà la montagna, sullo scoglio che si staglia imponente sul fiume Serio.
Sulle pareti del sacello, forse sul finire del Quattrocento, mani ignote, mani capaci (anche se di formazione popolana), dipinsero a colori vivaci e a grandi figure alcune delle mille storie di cui san Patrizio fu reso protagonista.
Un racconto per immagini, vivace, immediato: ecco il santo compiere miracoli, convertire gli increduli, umiliare i potenti, svelare gli inganni, nutrire gli affamati… Sembra un teatro, persino eccessivo nei colpi di scena, negli aspetti ingenuamente esagerati.

continua…