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26 Giugno 2003

I rari viaggiatori che tra il Sette e l’Ottocento salirono quassù, annotarono di un paese moribondo, dove qualche superstite faticava a strappare alla montagna briciole di sopravvivenza. Emigrati i più, a cercare fortuna nella Repubblica Veneta, o ancora più in là, nel milanese e fino in Francia. Anche i Tasso, al momento del tracollo, erano già lontano, impegnati nelle capitali d’Europa a organizzare servizi di posta o di dogana. Di loro, di quell’illustre casata che diede i natali a Torquato, il poeta della «Gerusalemme liberata», a Cornello rimasero sulle case stemmi dipinti ed emblemi di pietra. E il nome, naturalmente, portato ancor oggi con orgoglio. Come nelle favole, l’antico borgo pare essersi addormentato, ammaliato da una qualche magia. E tutto è rimasto com’era, cristallizzato, immutato. Ma proprio come nelle favole belle, quelle che piacciono ai grandi e ai piccini, il lieto fine non può mancare, e la sventura qui si è trasformata in fortuna. Perché è stata la solitudine, paradossalmente, a preservare Cornello, il suo abbandono di un tempo a salvarlo. E oggi questo luogo della Val Brembana è un’oasi nascosta e preziosa, a cui andare pellegrini in cerca di semplice bellezza.