In un recente incontro sullo stato del dialogo coi musulmani oggi a Milano, promosso dal Centro ambrosiano di documentazione sulle religioni e dalle Organizzazioni cristiane per l’Islam, sono emerse esperienze interessanti ancora poco conosciute ma che potrebbero aprire nuovi percorsi per camminare insieme nel reciproco rispetto. Oltre alle iniziative di incontro per reciproca conoscenza tra cristiani e musulmani, dialogo e approfondimento dei temi religiosi cristiani, partecipazione in sedi internazionali di studio e di dialogo, giornate di studio e proposte pastorali soprattutto a livello familiare, di cui si fa promotore il CADR (Centro diocesano di Dialogo con le religioni – corso di Porta Ticinese 33, Milano, tel. 02.8375476), sono sorti piccoli e grandi eventi anche fuori dal territorio diocesano, fino a Torino, Brescia e Bergamo. Mentre entro l’ambito diocesano ambrosiano si è puntato molto su proposte di studio molto vicine alla vita delle persone, a forme di collegamento e di formazione tra vari enti educativi, e a proposte concrete di intervento pastorale e di mediazione culturale. «Le parrocchie e i decanati, ormai hanno avuto modo di conoscerci – dice Renata Bedendo, una delle iniziatrici dell’attività del CADR – perché abbiamo rivolto loro diverse proposte e sussidi per facilitare la conoscenza dell’islam e approfondire la propria fede cristiana in vista del dialogo con i musulmani».
Che ci sia bisogno di proposte di conoscenza lo dimostra anche l’affluenza al corso di mediazione linguistica e culturale per l’arabo dell’Università statale, cui collabora anche Renata Bedendo: «Sono 150 gli studenti che seguono le lezioni, molti sono figli di arabi ma vantano la loro nazionalità italiana e vengono a imparare non solo le basi della loro tradizione islamica ma anche la molteplicità di tradizioni che si ritrovano nei rispettivi Paesi d’origine dei genitori».
In effetti, come dice Paolo Branca, islamologo, docente all’Università cattolica di Milano, quando mai cerchiamo di cogliere le esigenze e i bisogni dei musulmani che vivono tra noi, al di là delle richieste di luoghi di culto attorno cui si sollevano grandi polveroni. Ed è vero che i musulmani non hanno possibilità di farsi ascoltare e capire per poter ottenere soddisfazione ai loro bisogni, e questo non solo per nostra mancanza, ma anche perché tra loro non ci sono leadership adeguate che possano interagire con le istituzioni, perché le moschee vivono una reale marginalità sociale calcolando che sono per lo più in seminterrati, in vecchi garage, in luoghi disagevoli senza spazio alcuno per i giovani che così non possono esprimersi né superare le rigide gerarchie interne. Questo rende la situazione davvero stagnante per le stesse comunità che non possono fare altro che riferirsi a loro stesse: «Dobbiamo ben riconoscere – afferma Branca – che sono i parenti poveri tra noi, sia culturalmente verso di noi, ma anche verso i loro stessi parenti rimasti nei paesi d’origine perché conoscono poco l’arabo e hanno una conoscenza scarsa delle tradizioni religiose. Il rendersi conto di questo e dare sostegno a quanti cercano di vitalizzare le comunità, è una via utile a instaurare migliori rapporti di convivenza».
«L’esperienza di Milano – ha riconosciuto l’islamologo padre Maurice Borrmans nel recente incontro di Milano – èuna testimonianza importante e dimostra come i piccoli gruppi, le minoranze, possono cambiare le cose e favorire la reale comprensione e integrazione tra le nazionalità e le religioni. Ormai non si può più fare catechesi, pastorale, nemmeno un’omelia o un incontro di preghiera, senza tener conto degli altri, e delle altre esperienze religiose, compreso l’islam».