Sono trascorsi 13 anni, ma il ricordo dell’insegnamento e del carisma di monsignor Luigi Giussani non si perde con il tempo, anzi pare farsi sempre più presente nelle migliaia di fedeli – tra cui moltissimi giovani – che in Duomo si affollano tra le navate e nei tanti che, in fila all’esterno, attendono a lungo di poter entrare dopo i controlli di sicurezza.
Per la prima volta quale Arcivescovo dei Milano, monsignor Mario Delpini presiede la celebrazione eucaristica in memoria del fondatore di Comunione e Liberazione e per il 36° anniversario del riconoscimento pontificio della Fraternità di Cl. Concelebrano oltre 50 sacerdoti, tra cui i vescovi monsignor Paolo Martinelli e monsignor Luigi Negri, il presidente della Fraternità don Julián Carron e l’assistente ecclesiastico diocesano don Mario Garavaglia. Nelle prime file siedono i fratelli del Servo di Dio, Livia e Gaetano, i nipoti, il vicepresidente nazionale della Fraternità Davide Prosperi, la vicepresidente della Corte Costituzionale Marta Cartabia, il presidente del Consiglio regionale Raffaele Cattaneo e altre autorità.
«Sono contento di essere qui, per la prima volta tra voi, con ammirazione per quello che la persona di don Giussani e il Movimento di Cl hanno creato in questa Chiesa», dice in apertura della celebrazione l’Arcivescovo che, nella sua omelia, delinea alcuni tratti dell’insegnamento del fondatore e del compito, oggi, di quanti a esso si ispirano. «Vanno gli uomini e le donne di ogni tempo, e anche di oggi, per vicende complicate, attraversano grovigli di complicazioni, confusioni di desideri, frustrazioni di affetti. Si inoltrano in percorsi ambigui, in sentieri scivolosi fino talora a precipitare», spiega Delpini in riferimento alla seconda Lettura tratta dal Libro dei Proverbi. Ed è a questi «vagabondi infelici» che si presenta «prima o poi la seduzione della straniera, suggerendo che la via della trasgressione è più promettente della via della fedeltà alla legge di Dio, facendo immaginare che sia più facile essere felici cogliendo il piacere immediato piuttosto che percorrendo la via della virtù».
Eppure questo, nota ancora l’Arcivescovo, non è un destino al quale non è possibile sfuggire, proprio perché «su tutti si volge lo sguardo misericordioso di Dio e il suo irrompere è una sorpresa, tanto imprevista, quanto intimamente desiderata». Un farsi presente del Signore nella vita che ognuno può raccontare in modo «personale, originale e commovente». «Noi siamo raccolti per fare memoria e confessare la gratitudine di quella occasione di conversione, di risveglio, di vocazione a nuova consapevolezza che ha raggiunto molti grazie al ministero di don Giussani, che ha segnato con il suo carisma il vostro essere discepoli di Gesù, il vostro essere pietre vive nella santa Chiesa di Dio. Voi siete stati educati a riconoscere nell’avvenimento dell’incontro con Cristo la fonte inesauribile della pace, della letizia, della fecondità umana». Un’incrollabile tensione missionaria che, in don Gius, fu anche passione indomita, «culturalmente sensibile a ogni aspetto dell’umano, socialmente tesa a rispondere a ogni grido, amante del rischio educativo, politicamente desiderosa solo di servire gratuitamente il nostro popolo, in tutte le sue più autentiche esigenze e libere espressioni».
Chiaro che una simile eredità di fede e di pensiero – capace di sottrarre molti «alla tentazione di adeguarsi alla mondanità» – non possa che obbligare, oggi, alla fedeltà e alla vigilanza perché «l’ardore degli inizi, il contagio dello slancio e della gioia, la genialità dell’intraprendenza non si lascino stancare dalla storia, non si riducano a memoria autocelebrativa delle imprese compiute, non si vanifichino per sottrarsi alla fatica di raccogliere le sfide presenti, di riconoscere le inadeguatezze e gli errori commessi, di ricostruire percorsi promettenti per il bene di tutta la Chiesa e per una presenza significativa in quel presente in cui si rinnova l’alleanza che salva».
L’invito, specie di fronte alle necessità urgenti odierne, è a un farsi prossimo verso i più poveri: «Se i bisogni che avanzano e ci interpellano hanno volti e nomi nuovi, l’originale e commovente capacità di condivisione, propria di un cuore che appartiene a Cristo, sa sempre trovare forme e modalità appropriate di rendersi vicini ai più poveri e abbandonati, facendo loro sperimentare l’ospitalità e l’accoglienza familiare della comunità cristiana. Per questo i tanti bisogni delle persone non fanno paura e non generano insofferenza, o peggio ancora, estraneità e indifferenza, ma sono un invito a gareggiare nella carità, a portare gli uni i pesi degli altri».
Parole subito raccolte da don Carron nel suo saluto finale di ringraziamento per una paterna sollecitudine che ha portato monsignor Delpini a incontrare, in questi primi mesi di episcopato, «tante persone e realtà del Movimento. Tale attenzione è, per noi, fonte di commossa gratitudine, ma soprattutto richiamo forte a mantenere viva la coscienza che il dono che abbiamo ricevuto, incontrando e partecipando al carisma di don Giussani, urge la nostra responsabilità a vivere una sempre più profonda personalizzazione di esso per comunicarlo e condividerlo, a servizio e a beneficio di tutta la Chiesa», conclude il presidente della Fraternità, ribadendo la disponibilità al Pastore ambrosiano e a servizio del Papa nel suo richiamo alla Chiesa in uscita.
E, alla fine, arriva, per tutti, una richiesta, o meglio, quella che il Vescovo Mario definisce una penitenza quaresimale. «Andate, da qui a Pasqua, sulla tomba di don Giussani al Monumentale chiedendo, per sua intercessione, la grazia che ciascuno sia pietra viva dell’unità della nostra Chiesa diocesana e collabori per l’unica Chiesa di questa Diocesi. Se qualcuno non potesse farlo vada nella chiesa del suo paese e preghi perché si riesca realizzare quella unità nella pluralità che ci ha raccomandato il cardinale Scola».