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Una consapevolezza maturata a Caravaggio durante la quarta edizione del seminario di formazione per chi in Lombardia si occupa di comunicazione ecclesiale. La presenza della comunità cristiana in questi ambienti, solo parzialmente virtuali, non può mancare

don Davide Milani
Delegato regionale Comunicazioni sociali

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Chiesa e social media? Un connubio più che possibile, doveroso, per i direttori della comunicazione delle Diocesi lombarde. Una consapevolezza maturata venerdì 23 e sabato 24 novembre a Caravaggio, teatro della quarta edizione del seminario di formazione per chi in Lombardia si occupa di comunicazione ecclesiale (su www.chiesadimilano.it/ comunicazionisociali alcune delle relazioni).

Un appuntamento che è il punto di evidenza del lavoro che ogni mese i responsabili diocesani della comunicazione svolgono ritrovandosi per affrontare temi legati alla formazione, all’aggiornamento, alle iniziative comuni, al coordinamento. «I social media» è stato il tema scelto per l’edizione 2012: un argomento affrontato grazie all’aiuto di esperti e protagonisti di strumenti che non sono «alcuni tra i tanti», bensì costituiscono una dimensione trasversale, influenzata dagli strumenti di comunicazione "tradizionali" e dai confini ben più ampi rispetto ad essi.

Quella dei "social" è una sfida da intraprendere non per mostrarsi al passo con i tempi (che danni provoca "esserci" in modo non consapevole) e neppure per tentare di recuperare contatto con i più giovani (i dati dimostrano che anche adulti e anziani li usano). Nei "social" la Chiesa deve stare in modo maturo, perché è un crocevia dove un’infinità di tentativi di relazione si intrecciano. La presenza della Chiesa in questi ambienti, solo parzialmente virtuali, non può mancare: da portare non c’è tanto qualche "buona notizia", ma uno stile di testimonianza sull’autenticità delle relazioni per quella moltitudine di C persone che ogni giorno – e più volte al giorno – su Facebook, Twitter, Youtube e le altre piattaforme social dialogano, si informano, si narrano, cercano qualche forma di compagnia e amicizia.

Una testimonianza che passi da una comunicazione autentica e non artefatta o ingannevole; che non prometta relazioni apparentemente facili, ma poi insostenibili e luogo di delusione; che stimoli gratuità e libertà e non causi invece interesse e costrizione. Insomma, "esserci" per dire, ancora una volta, la cura per coloro con cui si entra in dialogo, anche per poco; per portare e far trasparire colui che delle relazioni compiute e autentiche è la sintesi: Gesù Cristo.

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