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22 giugno

Un docu-film sulla vita di suor Enrichetta

Sarà proiettato presso l’Istituto dei Salesiani di via Tonale. Contiene anche interviste esclusive e inedite al cardinale Carlo Maria Martini, a Giorgio Bocca e a Mike Buongiorno

di Luisa BOVE

13 Giugno 2011

La vita è un cinematografo è il suggestivo titolo del film-documentario su suor Enrichetta Alfieri realizzato da Nova-T con la regia di Paolo Damosso. Dopo il grande successo di un incontro sul tema del perdono, che in aprile ha visto la partecipazione di 150 persone, i cappellani e le suore del carcere di San Vittore propongono ora la visione del docu-film per mercoledì 22 giugno alle 20.45 presso l’Istituto dei Salesiani (via Tonale 19 a Milano). «L’iniziativa, come già la precedente in Quaresima, è rivolta a volontari, agenti, avvocati, magistrati, ex detenuti, parenti di detenuti e simpatizzanti che ci conoscono e ci sostengono dal punto di vista materiale e morale», dice don Pietro Raimondi. La beatificazione di suor Enrichetta è un evento importante e da non perdere, spiega il cappellano: «Un conto è sapere che una suora che stava in carcere diventa beata, un conto è farla diventare un’occasione anche per noi e vivere insieme questa esperienza, non averne solo notizia».
La visione del film è dunque un modo concreto per prepararsi alla celebrazione in piazza Duomo il 26 giugno. I protagonisti del documentario sono Daniela Poggi e Luca Ward, rispettivamente suor Enrichetta e il narratore. Il set è allestito all’interno delle Nuove, ex prigione di Torino che ora è un museo vivente della vita carceraria e della deportazione nazifascista. Nel film ci sono anche alcune interviste esclusive e inedite al cardinale Carlo Maria Martini, arcivescovo emerito di Milano, che aveva avviato la causa di beatificazione, a Giorgio Bocca e a Mike Buongiorno pochi mesi prima della sua scomparsa.
«Quello che fa più impressione quando si parla in carcere di suor Enrichetta – continua don Pietro – è dire ai detenuti: “Guardate che era qui e camminava in questi reparti”». Non bisogna poi dimenticare che a San Vittore «è passata da persona in servizio a detenuta» e quando è tornata si è messa ad assistere «quelli che erano stati i suoi carcerieri, cioè gli ex fascisti».
«Fa impressione rivedere oggi gli stessi luoghi frequentati da lei non molto tempo fa – dice il cappellano -. C’è ancora la cappella dove pregava e abbiamo tutti in mente la foto che la ritrae davanti alla grotta di Lourdes, identica e con la stessa Madonnina».
«Il messaggio di suor Enrichetta deve arrivare a tutti, anche agli agenti. Una figura come la sua ci dimostra che è possibile lavorare in carcere con uno stile diverso, San Vittore non deve per forza distruggerci e abbruttirci. Suor Enrichetta infatti non si è lasciata trasformare dall’ambiente, ma è passata e ha fatto il suo bene. Ha resistito all’assimilazione e chissà che cosa avrebbe fatto oggi con tutti i problemi che ci sono?».