Share

La storia

Quella telefonata che ti allarga la famiglia

La testimonianza dei coniugi Pesarin, genitori di tre figlie, che in periodi diversi hanno aperto la porta della loro casa ad altri bambini, giunti in affido: «Ci siamo buttati in questa avventura e alla fine è stato un regalo anche per noi»

di Luisa BOVE

5 Giugno 2016

Elena e Paolo Pesarin non avevano mai pensato all’affido. Sposati da 24 anni, da sempre vivono a Desio con le tre figlie: Agnese (23 anni), Camilla (21) e Michela (15). Poi la telefonata. Igor, assistente sociale e amico di famiglia, chiama Elena per proporle di accogliere due gemelline di un anno e mezzo, che avevano bisogno urgente di una famiglia di appoggio perché la mamma, una ragazza madre, doveva riprendere a lavorare. «Stai scherzando?!? Abbiamo già tre figlie…». Michela allora aveva solo 7 anni. «Pensaci! Parlane con Paolo e poi fammi sapere!».

La sera, a cena, riunione di famiglia. Il marito, sentita la richiesta, risponde: «Perché no?». A fare resistenza è Elena. È vero che è casalinga, ma una volta alla settimana cura la nonna di Paolo (la bisnonna delle figlie) per alleviare la suocera. Di notte muore e la situazione sembra alleggerirsi. Ma anche il nonno di Elena non gode di buona salute, così i Pesarin prendono tempo con l’assistente sociale. Poco dopo, nella notte, muore anche il nonno. «Abbiamo avuto due lutti in tre giorni e mezzo», racconta oggi Elena, che alla fine decide: «Va bene, Signore, ci sto! Se è questo che vuoi: eccomi. Eccoci!». E così è stato.

«Ci siamo buttati in questa avventura, anche se non ci sentivamo adeguati, ma ci siamo fidati. Abbiamo conosciuto le gemelline, che si sono fermate subito anche a dormire». Alla fine l’accoglienza è durata quasi due anni. La madre era sempre presente e portava le bimbe alla sera o al mattino. «All’inizio è stata dura – racconta Elena -. Piangevano tanto, soprattutto di notte, perché volevano la mamma, e noi non sapevamo se fosse giusto farle soffrire. Poi pian piano si sono abituate». In seguito, quando Elena ha riletto questa esperienza con le figlie, Agnese, la maggiore, ha ammesso: «Noi non abbiamo sofferto, perché tu ci hai cresciuto e siamo sempre state con te. Io mi lamento spesso che potrei avere un paio di scarpe in più, se tu andassi a lavorare. Ma ora capisco che è più importante avere la mamma vicino». «Questo per me è stato il regalo più grande», commenta Elena.

Dopo questo affido hanno detto basta. Poi è arrivata la solita telefonata d’urgenza dai Servizi sociali per Mira, una bambina bulgara di 6 anni, abbandonata dalla madre e sballottata tra vicini e conoscenti. Il papà era sempre lontano per lavoro. «È stato un affido difficilissimo – spiega Elena -, perché Mira non sapeva ancora lavarsi, mangiare, camminava storta, non rideva e alternava momenti di totale passività ad altri di grande agitazione in cui faceva i dispetti». Ha vissuto due anni in famiglia: il primo a tempo pieno (giorno e notte), con il padre che rientrava ogni mese o due dalla Germania; il secondo in affido parziale dal venerdì alla domenica, perché durante la settimana la teneva la nonna giunta dalla Bulgaria.

Intanto le tre figlie erano cresciute; in casa serviva più spazio, anche negli armadi, e dicevano: «Non c’è più posto per un bambino in affido». Poi un giorno i coniugi Pesarin hanno sentito parlare della cooperativa Comin e degli “affidi veloci” e hanno deciso di rimettersi in gioco seguendo un percorso a Milano con altre famiglie. Dopo sei mesi è arrivata la fatidica telefonata: «Abbiamo accolto Sadi, che aveva solo 40 giorni e veniva direttamente dall’ospedale». I genitori, originari del Bangladesh, erano giovanissimi e con un altro figlio di un anno. La madre non si era adattata a vivere in Italia e stava attraversando un periodo di depressione: «È stato un affido bellissimo. Essendo così piccolo, Sadi era come un figlio». Anche Agnese, Camilla e Michela lo consideravano un fratellino. Dal 2 maggio la casa è più vuota. L’intera famiglia infatti è rientrata in Bangladesh. «Il distacco, pur nella gioia, è stato faticoso per tutti, anche per le mie figlie – ammette Elena -. Siamo rimasti in buoni rapporti, il papà non sa più come manifestare la sua riconoscenza, ci ha già telefonato due volte e inviato alcune fotografie». Ora non resta che aspettare la prossima telefonata.