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I lavori di Oasis a Sarajevo

I cristiani siano un ponte
di laicità tra sciiti e sunniti

L’islamologo Samir Khalil Samir: in Iraq il popolo «chiede lavoro, casa, cibo, sicurezza, stabilità. L’Occidente continua a sostenere chi ha più soldi e chi ha interesse a comprare armi»

di Daniele ROCCHI Inviato Sir a Sarajevo

17 Giugno 2014

La guerra vera che si sta combattendo in Medio Oriente, e in modo particolare in Siria e in Iraq, è di stampo confessionale e vede opposti sciiti e sunniti. Essa affonda le sue origini sin dalla nascita dell’Islam. L’Occidente non ha ben compreso la vera essenza di questo conflitto e lo continua ad alimentare con la vendita di armi. La via di uscita? Far incontrare sciiti e sunniti, e i cristiani possono essere il ponte. Il terreno di confronto è quello della laicità positiva in cui tenere distinte, e non unite, politica e religione, nel rispetto dei valori comuni, dei diritti e delle differenze. Questa è la chiave per opporsi al radicalismo islamico e sanare le divergenze senza spargimenti di sangue. Parola di Samir Khalil Samir, gesuita egiziano, docente all’Università Saint Joseph di Beirut e al Pontificio Istituto Orientale di Roma, tra i maggiori esperti di Islam a livello mondiale, intervenuto a Sarajevo ai lavori dell’XI Comitato scientifico della Fondazione internazionale Oasis dedicato alla “Tentazione della violenza. Religioni tra guerra e riconciliazione”.

Un nuovo califfato?

Padre Samir interviene in merito alle ultime vicende mediorientali che vedono l’avanzata delle milizie dell’Isil, i jihadisti sunniti dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, verso Baghdad, dopo aver conquistato Mosul e Tikrit. «Lo scopo dell’Isil – dice – è restaurare il sultanato ottomano abolito nel 1924 dal generale e statista turco, Kemal Atatürk, e che i Fratelli musulmani, fondati nel 1928 da Hassan al-Banna, non hanno saputo rifondare. Questi ultimi, anch’essi sunniti, non sono mai riusciti a incidere politicamente. Solo una volta, in Egitto, hanno ottenuto il potere che hanno mantenuto per un anno, prima che, nel luglio del 2013, il loro presidente, Mohammad Morsi, venisse destituito dall’Esercito e dalle rivolte di popolo. Il loro scopo è essenzialmente di tipo religioso e non quello di migliorare la società. Il popolo invece chiede lavoro, casa, cibo, sicurezza, stabilità».

Armi e petrolio

Uno scontro interconfessionale che vede, da una parte, gli sciiti di Nouri al Maliki in Iraq e gli alauiti, ramo sciita, di Bashar al Assad in Siria, con l’appoggio dell’Iran e di Hezbollah libanesi; dall’altra, le milizie dell’Isil, i jihadisti dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, foraggiate dai Paesi sunniti del Golfo, Arabia Saudita in testa che alimenta anche i “fratelli” iracheni. «Questa opposizione tra i due poli – avverte l’islamologo – sta distruggendo tutto il Medio Oriente e non possiamo rallegrarci di questo. Spero in un’intesa per raggiungere la pace in Siria e in Iraq ed una stabilizzazione in Egitto, dove sono tutti sunniti, e in Libano, dove il rapporto sunniti-sciiti è sempre molto teso». Tuttavia qualcosa si muove, spiega padre Samir: «Pare, infatti, che l’Arabia Saudita voglia trovare un punto di incontro con l’Iran e questo potrebbe essere un passo in avanti verso la soluzione del conflitto interconfessionale». Ma c’è un altro scoglio da superare in questa fase di scontro duro e sanguinoso tra sciiti e sunniti: «La difficoltà dell’Occidente a comprendere la vera essenza confessionale di questa guerra che sta ridisegnando i confini della regione. L’Occidente continua a sostenere chi ha più soldi e chi ha interesse a comprare armi. Le armi – dice senza giri di parole – vengono dall’Occidente, mentre i soldi per pagarle dal petrolio arabo. Così si comprendono alleanze strategiche tra Arabia e Usa, Francia e Qatar. La secolarizzazione dell’Occidente, inoltre, non fa altro che rafforzare il fanatismo islamico».

Una laicità positiva

Per uscire da questa crisi che insanguina la regione è necessario, afferma il gesuita egiziano, «lavorare per un sistema politico in cui il potere sia condiviso tra sciiti e sunniti e le altre componenti della società (drusi, cristiani, ecc), per ravvivarne il dialogo». Come a dire che in Iraq il premier al Maliki dovrebbe gestire il potere non solo con gli sciiti, ma anche con la componente sunnita. «Il problema di sempre nell’Islam – ricorda padre Samir – è l’unione tra politica e religione. Deve poter nascere un Islam laico dove vi è libertà di religione, necessaria per favorire la pratica integrale della fede. Non la laicità alla francese che esclude la religione, ma una laicità positiva come l’ha definita più volte Benedetto XVI. L’Islam, che i fedeli di Maometto ritengono l’ultima religione rivelata e quindi la migliore, non può essere imposto. Il bene va proposto non imposto. Che è quello che chiedevano i giovani egiziani a piazza Tahrir. Sciiti e sunniti devono confrontarsi sul rapporto tra religione e politica ed in questo campo i cristiani possono essere uno strumento di mediazione». «È in fondo la linea di Papa Francesco – conclude il gesuita – promuovere l’incontro tra le parti, parlare, pregare, conoscersi… Finiremo per scoprire che abbiamo idee simili e trovare un terreno di incontro sarà più facile».

Le violenze sulle donne in India

«Ci opponiamo a questi atti che condanniamo fortemente. Essi non appartengono alla cultura indiana, anzi la contrastano»: così il cardinale George Alencherry, arcivescovo di Ernakulam-Angamali (Kerala, India), stigmatizza l’ondata di violenza contro le donne in India, in particolare nello Stato dell‘Uttar Pradesh. Qui, due settimane fa, nel distretto di Badaun sono state trovate impiccate ad un albero di mango due cuginette di 14 e 15 anni, violentate e poi uccise, in una vicenda che ha suscitato indignazione a livello indiano ed internazionale. Parlando a margine dell’XI Comitato scientifico di Oasis a Sarajevo, il porporato ha ribadito che «la popolazione indiana si oppone con forza a questi gravi atti e lo stesso Governo cerca di fare il possibile per controllarli e assicurare alla giustizia i colpevoli». Si tratta, ha aggiunto, di «un triste fenomeno che deve essere fronteggiato con una forte azione anche educativa che metta al centro i valori etici e morali e con un rinnovato impegno nel campo scolastico in modo particolare in alcune zone dell’India. Il fenomeno, infatti, non riguarda l’intera nazione, ma solo alcune aree di essa. È qui che bisogna dare enfasi al valore del rispetto della persona e della sua libertà».

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