Il terzo Convegno "Professione oratorio" con gli educatori retribuiti degli oratori si è tenuto l'11 febbraio 2022 al Museo Diocesano Carlo Maria Martini di Milano. Abbiamo trasmesso il convegno on line ed è disponibile sul nostro canale YouTube. Sul tema della "rete", sia dal punto di vista intraecclesiale sia dal punto di vista della lavoro con il territorio e con le istituzioni, sono intervenuti il direttore dell'Ufficio CEI per i problemi sociali e il lavoro, don Bruno Bignami, e il sociologo e ricercatore Flaviano Zandonai.


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La terza edizione del Convegno diocesano dal titolo “Professione oratorio” è il nuovo passo che conferma l’attenzione della Diocesi al percorso lavorativo degli educatori professionali, che si realizza soprattutto grazie all’impegno importante e significativo del TEC (Tavolo Enti Cooperative), nell’ambito della FOM.

La Diocesi riconosce così il valore di una presenza sempre più qualificante nell’ambito del tessuto ecclesiale. «Una presenza educativa, preparata, seria, aggiornata – sottolinea don Stefano Guidi – di cui le nostre comunità hanno estremo bisogno».

Nella sede del Museo Diocesano Carlo Maria Martini (dove vengono proposte, in particolare legate all’Oratorio estivo, iniziative per affrontare con i ragazzi diverse tematiche attraverso l’arte; visita il sito https://chiostrisanteustorgio.it/), venerdì 11 febbraio, la competenza di don Bruno Bignami, Direttore dell’Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro della CEI, e del professor Flaviano Zandonai, sociologo, attualmente Open innovation manager del Gruppo Cooperativo CGM, oltre alle preziose considerazioni di don Stefano Guidi, hanno aiutato gli educatori retribuiti, che hanno partecipato in presenza o in collegamento attraverso la piattaforma di Zoom, a maturare un pensiero e una consapevolezza sul “lavoro di rete”.

Un approfondimento necessario alla luce dei tempi che stiamo vivendo, che ci provoca a rinnovare alcuni orientamenti per attivare una vera rete ecclesiale e sociale. «Una comunità cristiana, se vuole abitare il territorio, il quartiere, il paese… lo può fare in maniera efficace, autentica, solo se al proprio interno vive una dimensione di legame effettivo – continua don Stefano Guidi -. Gli educatori professionali in questo sono una presenza importante, sono degli attivatori».

Come evidenzia don Bruno Bignami, a partire dalla Laudato si’ di Papa Francesco e del vissuto che stiamo vivendo, «ai problemi sociali si risponde con reti comunitarie…». Questo orizzonte mette in campo noi, come persone generative, invitando a una compenetrazione reciproca fra Chiesa e mondo contemporaneo.

La formazione degli educatori professionali non può non andare di pari passo con la capacità di costruire reti: «Ci dev’essere una preoccupazione affinché la comunità in cui siamo inseriti si prenda a cuore questo tempo». «La comunità risponde alla sete di fraternità, al respiro dell’anima». Dove noi viviamo ci sono vocazioni diverse, che sono una ricchezza straordinaria: «per fare rete bisogna tessere le varie vocazioni, creare opportunità di conoscenza delle competenze reciproche».

Siamo “una comunità di destino” dove tutto è interconnesso (la pandemia ce lo ha reso visibile in modo evidente): «Approfondire quello che sta avvenendo a livello globale – per don Bruno Bignami – può aiutare a capire qualcosa di più anche di ciò che sta avvenendo dentro i nostri mondi, i nostri oratori», con una consapevolezza maggiore, occorre un’attenzione ampia e profonda ai vissuti dei ragazzi, degli adolescenti e dei giovani che ci sono affidati, senza trascurare le ferite sociali che generano malessere e che potrebbero portarsi dentro. Per offrire una direzione che motivi e coltivare esperienze istituenti, è fondamentale una comunità educante. La Chiesa nasce come luogo di relazioni, gli oratori sono luoghi vitali di aggregazione che educano allo stare insieme: «Costruire reti territoriali è potenza per il vissuto».

Don Bignami ci ha offerto, inoltre, alcune «dinamiche su cui lavorare, a partire da quattro figure bibliche», che meritano una seria riflessione: avere il coraggio di abitare e gestire il tempo fino in fondo (il samaritano); la capacità di discernimento, imparando a fare spazio a ciò che inferno non è, facendo lievitare ciò che è buono (la pazienza del contadino); saper interpretare le domande più profonde della vita delle persone che accompagniamo, a volte celate da domande più superficiali (la comunità del Risorto); lasciarsi convertire dall’altro in un dialogo autentico (la fede della donna pagana).

Come è possibile fare ripartire questa dimensione del fare rete in tempo sociale? É evidente l’esigenza di una «ristrutturazione di reti esistenti, soprattutto in alcuni territori, per evitare una deriva autocratica e autoreferenziale», asserisce il professor Flaviano Zandonai:  «Chiudere le reti troppo vincolanti per i legami di cui facevano parte, convertirle e costruire delle reti più tematiche, basate su contratti di rete… ripensarle nella loro architettura, con più agenti di sviluppo di reti, cercando di cambiare le funzioni e i ruoli dei nodi che servono a fare lo sviluppo della rete». «Oggi come si fa a fare rete?», si chiede e ci chiede il professore Zandonai. Restituendo la dimensione di scopo e la missione alle reti, mattone dopo mattone, magari iniziando a «lavorare insieme anche a progetti di corto raggio, microprogettualità, in corso d’opera scopriamo e riscopriamo il significato di quello che facciamo insieme, gli orientamenti comuni, e cominciamo a riprodurre quella risorsa fiduciaria importante per fare cose grandi, ricostruendo significati e appartenenza dal punto di vista degli obiettivi che vogliamo perseguire».

Possiamo ridefinire il ruolo degli educatori professionali con il termine di “designer” o “artigiano”, ha concluso don Stefano Guidi: «Per evitare che le nostre comunità implodano su se stesse, sappiano tenere la comunità collegata con la vita reale, con la sensibilità di chi lavora sul margine, sulla soglia, sulle connessioni da creare e ricreare, aiutando le comunità a pensarsi insieme in un territorio». Tessere relazioni, prendersi cura e costruire una qualità relazionale, attraverso una generatività territoriale, educativa e sociale, animando dal di dentro le reti: ecco cosa significa “fare rete”.

Ci offre una prospettiva di ampio respiro e un’autorevolezza anche sotto il respiro professionale che dovranno essere, necessariamente, contenuti seri di riflessione, in un tempo, come quello che stiamo vivendo, tutt’altro che statico, dove “fare rete” è la sfida e l’esigenza dell’essere oggi Chiesa in uscita, una sana apertura mai in contrasto con la propria identità, anzi, una questione che connatura «chi siamo e vogliamo essere».

La registrazione completa del Convegno è disponibile sul nostro canale YouTube Pastorale Giovanile FOM Milano: clicca qui.

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