.Con senso di responsabilità, l'Arcivescovo ha voluto che la sua omelia tracciasse il cammino degli oratori del prossimo futuro. Il direttore della Fom accoglie per tutti gli oratori e rilancia sulle sfide che la nostra Chiesa affida al percorso che stiamo vivendo per tracciare dei progetti educativi che corrispondano alle domande di vita dei ragazzi e stimolino la trasmissione della fede alle giovani generazioni.

Don Stefano Guidi
Direttore della Fondazione Oratori Milanesi

Raccogliere le emozioni, le immagini, la gioia dell’incontro… Fare ordine e sintesi di tutto quello che la celebrazione in Duomo ci ha regalato non è facile… quasi non si può.

Io ci provo. Più per continuare a ringraziare, che per provare letture sistematiche.

 

La Chiesa ambrosiana: una storia di fede appassionata

Il Duomo strapieno (oltre 6000 persone, decine di gruppi di ragazzi e adolescenti, più di 200 concelebranti, 400 ministranti, il coro composto da elementi di tante parrocchie di Milano) testimonia l’esistenza di una Chiesa ambrosiana che ha scritto una storia di fede che è soprattutto passione: passione nel senso di impegno amante, dedizione nella fedeltà quotidiana, tendenza a rendere concreta e visibile la bellezza di un’esperienza intima come la fede.

L’Arcivescovo Mario ce l’ha detto chiaramente. L’attacco iniziale della sua omelia si è concentrato sulla domanda di vita. La vita al centro della pastorale. La vita al centro dell’oratorio. La vita. Non come tema dell’incontro… Nemmeno come metodo pedagogico o come approccio della riflessione. La vita – anzitutto – come provocazione radicale all’oratorio: sei vivo? C’è vita in te? Stai dicendo parole di vita? Qui veramente andiamo al cuore. Qui abbiamo la possibilità di andare oltre le questioni statistiche e strategiche: la minore frequenza, il calo degli operatori e del clero, la confusione degli adulti…

La domanda ci porta al cuore: Oratorio sei vivo? E soprattutto: che fine ha fatto in te la domanda di vita?

L’Arcivescovo sembra chiederci di sintonizzarci ancora, nuovamente e seriamente, con la nostra domanda di vita! Sembra dirci che potremo fare oratorio solo a condizione di prendere sul serio la domanda di vita che abbiamo dentro, che forse abbiamo sepolto e che va ripresa.

L’Arcivescovo lo afferma senza esitazione: il punto di contatto educativo tra l’oratorio e i più giovani, tra ogni educatore e i suoi ragazzi, è la domanda di vita che ci abita, che ci inquieta e che ci muove.

 

 

Un oratorio, per essere felice

C’è un altro passaggio dell’omelia dell’Arcivescovo Mario che merita di essere raccolto: la felicità non è un prodotto di consumo; non è nemmeno una conquista privata.

La felicità è l’esperienza vitale di chi cerca insieme, di chi cammina insieme. La felicità germina con pazienza in una relazione di fiducia, di incontro, di amicizia. L’oratorio è una corrente che trasporta e che trasforma. Come la corrente calda degli oceani che percorrendo i mari, rimescola le acque e consente alla vita di diffondersi e svilupparsi. Ecco: l’oratorio non è una corrente oceanica, ma una corrente evangelica. Tanti ragazzi oggi incontrano la corrente oratoriana, per lunghi o brevi tratti, e si lasciano trasportare dalla sua corrente, cogliendo frammenti di vita, parole, relazioni, risposte, esperienze, domande. Elementi di cui l’oratorio non può immediatamente fare sintesi. La corrente è un flusso che ti trasporta ma non ti trattiene: ti riconsegna alla vita. La corrente oratoriana si attiva quando una comunità segue l’impulso del Vangelo.

Con l’oratorio la comunità consegna il segreto della felicità. Niente di meno. E a tutti: nessuno escluso. La celebrazione in Duomo consegna alla Diocesi un compito grande: che ogni oratorio venga sostenuto, alimentato, incoraggiato. Che la Diocesi dica ad ogni comunità che l’oratorio è un’esperienza possibile per tutti, praticabile, efficace. Che quando parliamo di oratorio, non stiamo parlando di imprese impossibili, di strutture ingestibili, di servizi sofisticati, di proprietà private che devono essere difese. L’oratorio è la scelta educativa di una comunità – tutte: nessuna esclusa – che vuole giocarsi in un rapporto di fiducia con i piccoli, gli adolescenti e i giovani. L’oratorio è possibile per tutti. L’oratorio, come corrente evangelica che trasporta, trasmette e diffonde la felicità.

 

 

Nel cortile, e nel sentiero

Ci siamo affezionati ad una immagine bellissima dell’oratorio, che lo rappresenta quasi totalmente e in un certo senso ne racconta il cuore dell’esperienza: il cortile.

Il cortile è l’immagine che meglio rappresenta i cardini educativi dell’esperienza oratoriana: l’informalità, l’offerta di amicizia garantita a tutti, il gioco come veicolo di relazione e di formazione.

Oggi sappiamo tutti che i tempi sono cambiati, e con i tempi le persone e i loro interessi. I ragazzi non hanno più tanto tempo. E hanno anche altri interessi ed esigenze diverse. Il poco tempo libero rimasto è quasi totalmente cannibalizzato da tante proposte invadenti e prepotenti, non sempre realmente educative.

Anche per questo, sembra necessario aggiungere un’immagine. Se è indispensabile abitare il cortile, è altrettanto necessario frequentare il sentiero.

Anche il sentiero è un’immagine a noi molto cara. Ci fa pensare al campeggio, alle vacanze estive. Alle tanto amate camminate in montagna.

«Don: quanto manca?» è il ritornello che unisce oratori diversi e lontani. Belli i sentieri di montagna. Lì non si può fare altro che camminare insieme, fianco a fianco, o al massimo in fila indiana, e si cammina lentamente, perché il percorso è lungo, occorre dosare le energie, prendere il passo giusto, aspettarsi per evitare che il gruppo si frazioni, che il più forte corra troppo, che il più fragile o svogliato non resti troppo indietro. Immagine stupenda!

E, camminando fianco a fianco, nascono parole, dialoghi, discorsi, cori e canti. Quanta vita! Oggi abbiamo bisogno di educatori pazienti, che amino i sentieri più che le aule. Che cerchino curiosi le domande più vere, più che offrire risposte impersonali e stentate. Dal cortile al sentiero. Il merito di don Bosco – credo – sta nell’aver intuito proprio questo: la condizione reale dei ragazzi del suo tempo. Proprio lui, nato in una cascina di campagna, quasi un villaggio Hobbit ai margini del mondo, si è accorto di un mondo di ragazzi e giovani più sfruttati che amati. Forse, anche oggi, la condizione giovanile presenta le stesse difficoltà dei suoi tempi. L’oratorio c’è. Non dogmatizza il cortile ma volentieri si prepara e si attrezza a camminare su sentieri nuovi.

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