Pur con tutte le eccezioni del caso e nonostante la dedizione di molti educatori, in Occidente nella stragrande maggioranza dei casi le giovani generazioni non considerano più la Chiesa una interlocutrice interessante: la comunità dei credenti deve pertanto tornare a meritarsi l'ascolto delle giovani generazioni, divenendo più profetica e sapiente nel loro accompagnamento; deve tornare ad essere palestra di relazioni significative, mostrando che il Vangelo fa la differenza in ambito sociale e culturale.


Giovani - gruppo

È sempre arricchente trovarsi a riflettere sulla condizione giovanile dei giovani. È quanto è successo la mattina di martedì 8 ottobre presso il Centro Pastorale Ambrosiano in occasione del Convegno di Pastorale Giovanile dal titolo “Giovani: sfide culturali e prospettive pastorali”: più di centocinquanta educatori (numerosi sacerdoti, religiosi/e, consacrati/e e laici), tutti impegnati nell’educazione delle giovani generazioni, si sono interrogati sulle prospettive pastorali e sulle sfide culturali poste di fronte alla pastorale giovanile.

Nella riflessione sono stati aiutati da don Giuliano Zanchi, direttore scientifico della Fondazione “Adriano Bernareggi” di Bergamo, nonché autore di alcune pubblicazioni su temi al confine tra l’estetica e la teologia, con particolare riferimento al cambiamento d’epoca che sta interessando l’intero assetto della civiltà occidentale e quindi anche la Chiesa nella sua azione pastorale.

Numerosi gli spunti di riflessione: ci limitiamo ad elencarne sommariamente alcuni, rimandando al video integrale dell’intervento, disponibile sulla pagina Facebook della PGFOM, per una conoscenza completa di quanto è stato oggetto di ascolto e di discussione durante la mattinata.

Nel suo intervento don Giuliano non ha mancato di sottolineare che in Occidente tra i giovani e la Chiesa non ci sono più rapporti significativi. Certamente ci sono ancora alcuni giovani impegnati con convinzione nella comunità ecclesiale, ma nella stragrande maggioranza dei casi le giovani generazioni non considerano più la Chiesa una interlocutrice interessante. E questo nonostante non manchino impegno e dedizione da parte dell’istituzione ecclesiale nel cercare di rispondere a questa situazione di progressivo distacco dei giovani, che ha coinvolto e sta coinvolgendo anche le donne.

Si può dire che nella civiltà occidentale c’è stato un progressivo allontanamento delle persone dalle istituzioni di senso e quindi anche dalla Chiesa: un fenomeno che è iniziato a partire dalla fine degli anni ’60 e si è accentuato con coloro che sono divenuti genitori negli anni ’80. L’”inceppamento” della trasmissione generazionale della fede ha quindi avuto inizio con i nonni e si è consolidato con coloro che sono divenuti genitori negli anni ’80/’90 e sta proseguendo.

Tuttavia il bisogno di senso, della necessità di appropriarsi di un vocabolario capace di dare un significato a quanto accade nel mondo non è venuto meno: ma, per appropriarsene, ci si riferisce a se stessi, piuttosto che rivolgersi alle istituzioni e, tra queste, alla Chiesa. Si è imposta nella società una sorta di autodeterminazione slegata dalle relazioni e dai legami sociali.

In particolare gli adulti faticano a fornire ai giovani chiavi interpretative del mondo: anzi l’età della giovinezza è considerata l’età per eccellenza, dalla quale non ci si vorrebbe mai staccare: i figli hanno finito per fare da modello ai padri.

Di fronte a tutto questo, la Chiesa spesso propone semplicemente una dottrina, un catechismo, magari “aggiornato” ai tempi. Ma ci vorrebbe ben altro: ci vorrebbero sapienza e profezia.

Occorrerebbero maestri, persone capaci di illuminare il loro vissuto quotidiano attraverso la luce del Vangelo. Adulti capaci di accogliere, ascoltare e accompagnare i giovani là dove sono, nella condizione in cui si trovano; capaci di essere profetici, di gettare luce sul mondo di oggi, di incidere sulla realtà. La Chiesa si deve meritare l’ascolto dei giovani divenendo più profetica: deve mostrare che il Vangelo fa la differenza in ambito sociale e culturale. Su molti temi di attualità abbiamo come credenti grandi carte da giocare.

In questo modo il cristianesimo tornerebbe ad intercettare i bisogni di fondo delle persone, a mettere radici nella società, a dare risposte concrete, a generare interesse. Aiuterebbe le persone a ricondurre ad unità l’attuale frammentazione che contraddistingue la vita dei singoli individui, come della società intera.

Il cattolicesimo, senza fughe in avanti e senza nostalgie dei tempi in cui è stato religione civile, deve vivere il presente, “semplicemente”, testimoniando la sua fede nel Dio di Gesù Cristo. Deve stare accanto agli uomini e alle donne di oggi: solo così questi ultimi potranno tornare ad assaporare il gusto del Vangelo di Gesù, apprezzandone il valore e la capacità di dare sapore e senso alla vita.

In particolare i giovani vanno aiutati ad immergersi dentro relazioni significative: la Chiesa è chiamata ad essere per loro palestra di relazioni profonde, vere e disinteressate. Ben venga pertanto che nella nostra comunità ecclesiale stiano nascendo quasi istintivamente nuove forme di vita comunitaria tra giovani: vangelo vissuto nella quotidianità che rende capaci di guardare oltre se stessi e il proprio io, riscoprendo l’alterità.

La stessa liturgia, se valorizzata e liberata da un anarchico e diffuso degrado, certamente favorirebbe l’incontro dei giovani con il Mistero di Gesù. Spesso non è così: di fronte al Mistero non si prova più incanto a causa del fatto che non è abbastanza curato il modo in cui si celebra.

Siamo grati a don Giuliano per gli spunti di riflessione che ha lasciato al nostro approfondimento personale e comunitario: siamo certi che saranno di aiuto nel lavoro pastorale a favore dei giovani che quotidianamente e con generosità molti educatori compiono sul territorio della nostra diocesi.

Per l’intervento integrale di don Giuliano Zanchi si rimanda alla pagina Facebook della PGFOM.

È disponibile anche il video di una breve intervista a don Giuliano Zanchi.

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