In occasione della visita pastorale alla Città di Milano, sua Ecc.za Mons. Mario Delpini ha incontrato i giovani del Decanato Barona-Giambellino: un’occasione per ricordare l’importanza di (ri)scoprire insieme la promessa del Vangelo per un futuro possibile e un presente vivo, anche oggi, anche quando ci sentiamo inquieti

Sara Cainarca
Servizio per i Giovani e l'Università

Arcivescovo - Visita pastorale Barona Giambellino - Sito

Venerdì 20 gennaio 2023, nel salone dell’oratorio della parrocchia di San Giovanni Bono, il primo incontro “Giovani e Vescovi” del nuovo anno inaugura l’ultimo tratto di strada del “pellegrinaggio” per la Città di Milano che l’Arcivescovo Mario Delpini ha intrapreso nel gennaio 2022 e si concluderà a giugno 2023.

La serata si è aperta con un breve video per presentare la realtà decanale: al ritmo della sigla dell’oratorio estivo, ecco una carrellata di foto colorate, con numerosi e vari volti di giovani e sacerdoti, tutti animati da espressioni di entusiasmo, in ammassati scatti di gruppo. Un inizio che ha lasciato intuire sin da subito la presenza di una comunità con giovani “affamati di vita buona”.

Le domande preparate per l’incontro hanno poi confermato questa “fame”: domande ampie, poste con interesse e partecipazione; domande non scontate; parole spontanee di giovani che hanno colto a pieno l’occasione di incontro con l’Arcivescovo Mario.

Così si percepisce già dalla prima domanda, relativa a una questione cruciale per chi si trova negli anni di scelte decisive e che ricerca – forse – non tanto un parere quanto una testimonianza: “Che cos’è la vita? Perché ha scelto la vita consacrata?”.

In modo semplice e diretto, ma non scontato e soprattutto quale frutto di esperienza vissuta, l’Arcivescovo risponde: “La vita è la storia di un’amicizia, dell’amicizia con Gesù e poi di tante altre amicizie; è sentirsi voluti bene e voler bene”. E così si lega anche la risposta alla seconda domanda, intima e tanto più vera: proprio ri-conoscendo il bene che si riceve, si acquisisce la fiducia per intraprendere le scelte che, seguendo ciò che si vive e percepisce come bello e autentico, danno forma all’esistenza di ciascuno. Dall’ascolto sincero di sé si può intraprendere un cammino di discernimento e di decisioni che plasmano nel Bene una vita. In questo cammino – sottolinea l’Arcivescovo – è importante fare spazio per l’ascolto di chi desidera questo nostro bene: il Signore. Dunque, ecco che con premura ricorda la preghiera come prezioso momento per parlare ed ascoltare il Signore e la lettura del Vangelo come fosse la lettera di un amico che ti scrive. Ritorna in più momenti questo consiglio: il Vangelo è una “lettera” importantissima che si riceve da un Amico fedele e affidabile, per tramite della Chiesa che tramanda un messaggio che è, in definitiva, promessa speranzosa di una vita eterna, possibile già ora.

Questo sguardo sulla vita e sulla Fede è oggi impopolare, in un mondo depresso e scoraggiato in cui i giovani che si affacciano alla vita e ne ricercano la pienezza sono pressati e sospinti alle spalle – tra aspettative dei genitori, richiesta di prestazioni dal mondo della scuola e del lavoro, continui sollecitamenti del “fai questo, fai quello” – per andare avanti: ma dove??? Dove andare? Quale strada seguire? È questa una questione fondamentale per ogni giovane, in ogni epoca: “ove tende questo vagar mio breve?” scriveva Leopardi due secoli fa. Il poeta indica poi come termine dell’affannosa corsa dell’uomo un “abisso orrido, immenso”, immagine pregnante ripresa anche dall’Arcivescovo: perché oggi il futuro non sembra avere alcuna attrattiva, incerto e inquietante. Quale strada percorrere? E che senso ha procedere se altro non c’è che un precipizio, baratro verso cui i giovani si sentono sospinti?

Si intrecciano qui due delle tematiche del dialogo: la Chiesa e i giovani. Sono i giovani a domandare con interesse quali intuizioni sono state raccolte dopo un anno di Visite pastorali, nella ricerca iniziata un anno fa (gennaio 2022) e che volge al termine verso il mese di giugno 2023. Ricordando il perché che ha mosso e muove i suoi passi, l’Arcivescovo rievoca l’immagine con la quale ha inaugurato la Visita alla Città: quella di una donna che non sosta nella ricerca della centesima sua moneta che ha perso. Certo, qualcosa si è perso, qualcosa inquieta l’oggi. Che cosa? Che cosa abbiamo perduto in questo tempo e in questa Milano? Cosa ha smarrito la Chiesa? D’altro canto, non dobbiamo dimenticare che la ricerca della donna nella parabola è doppia: è una ricerca anche per ritrovare con gioia e fare festa, una festa che coinvolge le vicine.
Il coinvolgimento e la partecipazione alla Comunità e il “tanto bene che si fa” per i singoli e per la Chiesa – motivo di gioia e festa – sembrano mancare proprio di questa gioia del riconoscimento dei frutti del bene, il gustare i frutti del proprio adoperare e adoperarsi insieme, dell’essere Chiesa.

A volte paiono serpeggiare una certa noia o rassegnazione, un fare che è vissuto come fardello, un partecipare che si appesantisce.
Ecco allora il rimando finale: partecipare ed essere Chiesa… con gioia! Abbiamo bisogno di ritrovare la gioia e la sincera intensità per e nel fare cose belle e grandi, sentire il gusto per queste: un’intima convinzione da custodire “perché la gioia sia piena” e la Chiesa, affascinante e appassionante, viva più lieta e fiera di sé, distaccandosi dall’atmosfera depressa e dal complesso di inferiorità che a volte sembra scoraggiarla.

Una Chiesa che testimoni la promessa fatta da Gesù è anche un luogo buono, alternativa al baratro, alternativa al futuro che sembra non esistere, davanti alla domanda “Dove andare?”. Ecco la risposta al “Perché credere in Dio? Perché un giovane dovrebbe leggere in Vangelo nel 2023?”. “Questa generazione di giovani a cui gli adulti hanno rubato la speranza é chiamata a contestare la disperazione perché una speranza l’ha trovata”: una speranza sostenuta dall’esperienza di una Chiesa che accompagna nel cammino, aprendolo a una ricerca insieme, possibile, vera e affidabile; una speranza di cui ci si può fidare, custodita nella Parola trasmessa e letta (da continuare a leggere ed ascoltare) quale appunto “lettera” di un Amico che promette che “Chi crede in me, ha la vita eterna”. La Fede è nella promessa di vita eterna, una promessa di vita, di un futuro: perché la morte è stata vinta e può essere vinta ancora. Ecco la promessa: non il “vagar mio breve” ma un’eternità che è per tutti. Qui troviamo la speranza. “Forse non abbiamo mai avuto altra scelta che tra una parola folle e una parola vana” (C. Bobin, L’uomo che cammina). Una speranza, una parola folle, perché non razionale: ma – ricorda l’Arcivescovo – per seguire Gesù non ci sono ragionamenti, algoritmi o calcoli e la Fede non è come il teorema di Pitagora che può essere spiegato; la Fede è da vivere e noi siamo qui per vivere e non per morire.

Difficile questa (il)logica in un mondo che corre e corre proprio verso un precipizio, lì dove vince la morte e l’individualismo. Ma la Chiesa è Comunità e qui sta la sua forza: insieme si può, per guardare e custodire ciò che vita è davvero, non alimentando le illusioni di onnipotenza che la società propone con stili di vita di eccessi insostenibili e insostenibili perché focalizzati sul culto dell’io. L’Oratorio può rivelarsi così un importante luogo di confronto e dialogo aperto, aperto anche all’autocritica cui la Chiesa deve sempre sottoporsi per continuare a distinguere tra ciò che è veramente Vangelo e le cristallizzazioni che nella storia ne sono state fatte, ricordando sempre con cura di “preoccuparsi di seguire Gesù e non di voler stare al passo con il mondo”. Non è nel credo individualista della modernità, ma in quella Parola – “amatevi gli uni gli altri” – che splende la luce del presente e del futuro. Così “rimanendo sale, che non deve perdere sapore, che non deve perdere la propria unicità uniformandosi”.

È questa la visione cristiana, la Fede “tanto antica e tanto nuova” in cui ognuno cammina, scoprendosi e scoprendola, disvelandola un poco alla volta nella continua ricerca insieme: “siate cercatori umili della Verità, sapendo che essa è sempre un passo avanti a noi e noi possiamo scoprirne un frammento alla volta”. Da qui, poi, la consapevolezza della sempre possibile ricerca, da condividere nel bene. Nelle relazioni, sia tra amici e coetanei sia con i ragazzi del catechismo, è fondamentale questo: il desiderio di lasciare il ricordo di sentirsi voluti bene, un bene che si manifesta proprio nella condivisione delle domande che animano una ricerca di risposte da condividere, che altro non è che vivere ora quelle domande, come indicazioni sul cammino dietro e con Lui.

In definitiva, è una proposta di umanesimo, di umanità: “essere insieme per essere fratelli e sorelle con stima, per servire e non per essere serviti”. Ecco la sincerità di una testimonianza semplice che non pretende risultati ma che, come il contadino della parabola, getta, getta e ancora getta il seme, nella speranza che un giorno germoglierà; fiduciosi che “con te faremo cose grandi” – come ha ricordato il canto della preghiera finale.

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