Giovedì 2 ottobre 2025 l’Arcivescovo è stato accolto al teatro Schuster di Pioltello da un lungo applauso dei giovani del Decanato di Cernusco sul Naviglio (presente anche il Vicario di Zona, don Antonio Novazzi): un momento di ascolto e confronto che ha inaugurato la visita pastorale e che ha permesso di riflettere insieme sull’essere giovani e sull’essere Chiesa oggi

Letizia Gualdoni
Servizio per i Giovani e l'Università

Visita pastorale Arcivescovo - Decanato Cernusco sul Naviglio - Sito

Il dialogo si è aperto con il ricordo dei giovani che quest’estate hanno vissuto un’esperienza missionaria in Mozambico, richiamando le visite dell’Arcivescovo ai sacerdoti ambrosiani in Messico, Cuba, Cile e Argentina, sottolineando come la missione significhi innanzitutto vivere il comandamento di Gesù: “Andate in tutto il mondo e annunciate il Vangelo ad ogni creatura”.
“Quello che mi porto a casa – ha detto l’Arcivescovo – è la compassione di Gesù per le folle, che vale anche per Milano, non solo per le terre lontane”. A volte il bene che facciamo sembra piccolo rispetto ai bisogni immensi, ma non va perso il senso di condividere la propria compassione. Parlando dei viaggi, come non tornare alla memoria allora al Giubileo dei Giovani a Roma, a cui l’Arcivescovo stesso ha partecipato. Due le immagini più forti che ha condiviso con i giovani: la moltitudine di giovani di ogni Paese e il silenzio dell’adorazione del sabato sera («questo silenzio che si è fatto in tutta la spianata, sentendo davvero che Gesù è presente e si può parlare con Lui»). «Impressionante la quantità di giovani che entravano nelle Basiliche. Tanti giovani, della nostra diocesi, dell’Italia, ma tanti giovani da tutte le parti del mondo, e penso in particolare al colpo d’occhio nella spianata di Tor Vergata con le bandiere che ogni tanto venivano sventolate per far vedere che si era lì: ecco, un popolo numeroso di giovani». Ma consapevoli che «Gesù non guarda ai numeri (pensiamo agli 11 discepoli o al milione di giovani), ma all’ardore» – ha sottolineato. La vera forza sta nell’intensità con cui viviamo la fede e ci lasciamo attrarre dalla promessa di Dio.
Cosa ci aspetta, quindi, chiedono i giovani, come Chiesa del presente e del futuro? L’Arcivescovo ha ricordato le parole di Gesù: “Volete andarvene anche voi?”. «Io credo che non ci si debba limitare troppo al pensiero dei numeri ma piuttosto chiedersi che ragioni si hanno per continuare “a stare con Lui”». La vita non è diciamo promettente perché siamo in tanti, anche se è bello essere in tanti, ma è promettente perché c’è dentro un desiderio di vita eterna, perché siamo attratti da Gesù, una promessa che ci convince.

La questione non è quindi contare chi resta o chi va, ma chiedersi le ragioni per continuare a stare con Gesù. La Chiesa non è promettente perché è numerosa, ma perché custodisce un desiderio di vita eterna. Anche se ci saranno deserti e cambiamenti, la vera attrattiva resta Gesù stesso.
«Quello che è essenziale è questo, ma noi che ci siamo, quale fuoco abbiamo dentro? Quale desiderio abbiamo di vivere la nostra fede, di essere amici di Gesù? Quale coraggio abbiamo anche di testimoniare, di dire ai nostri amici che abbiamo trovato chi ha parole di vita eterna? Ecco, io mi aspetto che di fronte alla domanda di Gesù volete andarvene anche voi, noi possiamo rispondere “No, Signore, noi vogliamo star qui perché Tu solo hai parole di vita eterna”».
Sul tema dell’individualismo, gli viene chiesto: “Come possiamo camminare verso un cammino di sinodalità se il mondo adulto che abbiamo davanti e da cui dovremmo imparare e anche quello di molti giovani è un mondo individualista dove un individuo vince se schiaccia l’altro? Com’è possibile stare insieme come ci chiede il Signore Gesù quando dice “amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi”?!”.

L’Arcivescovo ha invitato a non fermarsi ai luoghi comuni. «Il mondo ha logiche di competizione, ma voi no. Guardiamo la realtà: “c’è gente che ha gusto a servire”». Adolescenti che passano luglio a servire come animatori all’oratorio, adulti che sacrificano ferie per cucinare al campeggio, ad esempio. Sono segni semplici ma veri di un bene che c’è, e che spesso non notiamo perché diamo per scontati. Ma è proprio lì che si vede la bellezza del Vangelo vissuto. «Il mondo è segnato, come dice questa domanda, da un certo individualismo preoccupante ma guardiamo le nostre comunità, i nostri preti, suore, educatori, oratori… forse nel nostro modo di leggere la realtà siamo troppo condizionati dai luoghi comuni, da quello che dicono tutti. Si può fare un elenco sterminato di cose buone che avvengono sotto i nostri occhi e che forse ci colpiscono di meno perché sono troppo normali. È normale che si faccia del bene, come dice Gesù, che ci amiamo. Naturalmente i problemi del mondo sono molto complicati, c’è chi si fa la guerra, c’è chi si alza al mattino e dice adesso andiamo ad ammazzare gli altri ma le nostre comunità, forse anche le vostre famiglie, sono una contestazione di questa etichetta troppo negativa».

«Come quando nel Vangelo Gesù dice: “Date voi stessi da mangiare”. Ecco, quello che mi colpisce è che voi siate gente così, che a un certo punto dite “ecco io faccio il catechista, ecco io faccio l’animatore, ecco io mi impegno a scuola”. Noi siamo quelli incaricati di dimostrare che un altro mondo è possibile. Perché? Non perché siamo migliori, ma perché ci alziamo al mattino e diciamo “ecco oggi voglio fare bene quello che devo fare”. E ci sono miliardi di persone sulla terra che ogni mattina si alzano e dicono “adesso voglio far del bene, voglio lavorare, voglio studiare, voglio andare a visitare i malati, i disabili ecc”. Io ritengo che non ho una risposta a questa domanda ma soltanto un invito al realismo che naturalmente registra anche tutto il male che c’è in giro però il realismo siete anche voi!».

Parlando delle tensioni sociali e della violenza diffusa, sia fisica sia verbale, all’ordine del giorno, l’Arcivescovo ha ricordato che anche i discepoli di Gesù discutevano su chi fosse più importante. «Noi siamo originali -ha affermato -. C’è gente che dice ma in che cosa consiste l’essere cristiano? Consiste in quella umile fierezza di essere originali. e quindi vuol dire seguire Gesù. Credono in un’altra logica. Cioè se uno ti offende, tu cosa devi fare? Se tu reagisci istintivamente, dici “beh, mi ha dato un pugno gliene do altri dieci” e invece tu dici “no, io perdono”. Sono originali i cristiani, sanno perdonare. I cristiani sono originali, sono pellegrini di speranza, per usare il motto del Giubileo. Cioè, sono gente che spera. Ma perché spera? Non perché hanno questa predisposizione ad essere ottimisti, ma perché credono che la promessa di Dio è vera, Gesù ha promesso: se credi in me, hai la vita eterna, ecco io ci credo, perciò io cammino verso un futuro che è la vita con Gesù, non è che cammino verso la morte… Dobbiamo semplicemente riconoscere la fierezza di dire che la mia regola di vita non è di fare quello che mi viene in mente, non è quello di prevalere sugli altri, ma di essere originale. Quindi mentre i potenti si fanno servire, “tra voi però non sia così”, ma chi vuole essere il primo sia lo schiavo di tutti. Io vorrei dire questo, essere originali semplicemente perché si prende sul serio il Vangelo».

Guardando al presente e al futuro, l’Arcivescovo ha richiamato i giovani al realismo e alla gratitudine, antidoti al “virus dello scontentezza o del malumore” che sembra contagiare molte persone in Occidente.

«Voi potete essere i medici di questa malattia dell’infelicità», ha detto loro. Un invito a non lasciarsi rubare la gioia, ma ad essere pellegrini di speranza. Ogni giorno ci si può alzare con il desiderio di fare il bene: questo è il segno che un altro mondo è davvero possibile.
E se il mondo si cambia con le piccole cose, è un segno piccolo ma significativo la raccolta, all’uscita dell’incontro, delle offerte dei giovani a favore della Caritas di Pioltello, che tanto bene compie per chi è più in difficoltà, come dono all’Arcivescovo e gesto concreto di solidarietà.

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