Un abbraccio, nel cinema d’azione, è un gesto piuttosto raro. Che i Marvel Studios abbiano ormai da anni riflettuto profondamente sulla violenza e sull’eroismo era una cosa chiara sin da quando, nel fondamentale dittico degli Avengers i buoni perdevano rovinosamente.
Una sconfitta che portava a interrogarsi: come sapere che si è dalla parte giusta della storia? Con Thunderbolts* (l’asterisco nel titolo è un divertente mistero che il film risolverà) si raduna un cast e un gruppo di creativi provenienti dal cinema indipendente della “rivale” A24. L’esito è un kolossal che non espande la trama tra multiversi e continuità con altri film, bensì cerca di ricondurre il più possibile la sua struttura all’interno. Ebbene sì, nell’introspezione. Senza rinunciare ovviamente allo spettacolo.
Un vuoto che si fa tentazione
Protagonisti di Thunderbolts* sono ex villain sconfitti e antieroi depressi. Pur con effetti speciali, mantelli e immancabili botte da orbi il film prova a parlare di altro. Per Stan Lee, il creatore di molti di questi personaggi, ad ogni dono corrisponde una responsabilità che si deve tramutare in impegno per il bene.
Così l’invincibile Sentry di potere ne ha moltissimo, ma non sa come usarlo. Viene sopraffatto così dalla sua sofferenza incarnata dal suo lato oscuro: Void, il vuoto. Un’ombra, simbolo incredibilmente efficace del male che acceca, dell’assenza di speranza nella vita che si fa tentazione al male.
Lo scalcagnato gruppo di “sacrificabili”, gli ultimi degli ultimi, dovrà trovare un modo per fermare il calare dell’oscurità su Manhattan. La forza, in questo caso, non servirà. Non farebbe altro che dare coraggio all’oscuro nemico.
Senza rovinare lo splendido finale bisogna ammirare ancora una volta, dopo il pacifista Captain America: Brave New World, come uno studio nato per l’intrattenimento riesca invece a sintetizzare per i più giovani alcuni stati complessi dell’essere meglio di un certo cinema autoriale.
Si può dileggiare lo spirito positivo del film (è stato fatto da più parti), eppure parlare con questa precisione della depressione e della salute mentale non è cosa da poco. Le mani abituate a tirare pugni, impegnate in un abbraccio, sono un’immagine che resta.