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Storie e personaggi delle Olimpiadi “NONNA” HILDE E LA PAGNOTTA VIETATA

5 Giugno 2008

A 42 anni la fondista norvegese Pedersen è l’atleta più anziana
mai salita sul podio dei Giochi invernali. Christelle, una discesa
nel ricordo del padre. Gli Alverà, il curling formato famiglia.
Sabina, un gol per i media. Brasile-Giamaica, derby nel bob.
Non rispetta l’esclusiva degli sponsor, multato un panettiere

di Paolo Lambruschi
da Torino

Non solo medaglie, le Olimpiadi sono anche sogni realizzati e grandi vittorie personali che rendono ugualmente campioni uomini e donne in gara.

Se la passione e la velocità, doti giovanili, sono il simbolo dei Giochi, l’alloro olimpico a volte se lo aggiudicano atleti negli “anta”. Così la 42enne norvegese Hilde Pedersen, mentre i suoi pari età sono alle prese con cellulite e colesterolo, ha messo in riga concorrenti molto più giovani, vincendo la medaglia di bronzo nella 10 km di fondo a tecnica classica. Pedersen aveva disputato le qualificazioni insieme alle figlie. Si tratta dell’atleta più anziana ad aver mai vinto una medaglia alle Olimpiadi bianche. Per la cronaca, la valorosa Hilde è crollata a terra sfinita un metro dopo il traguardo.

Ha già vinto la sua Olimpiade, pur arrivando ultima in discesa libera, Christelle Laura Douibi, ventenne di madre francese e padre algerino. Pochi mesi fa ha ottenuto la doppia cittadinanza e ha potuto gareggiare per il Paese nordafricano. Un modo per ricordare il papà, recentemente scomparso. Lei scende senz’altra pretesa che quella di tagliare il traguardo. Il ricordo paterno le infonde il coraggio per battere la sfortuna che l’ha perseguitata con una sequela di incidenti. «Ho ripreso a sciare da tre settimane – racconta la franco-algerina – quando scendo in pista sento un male tremendo. Ma un’Olimpiade è un appuntamento immancabile».

Un’altra famiglia, gli Alverà, può vantare un primato: sia il padre Gianfranco, 47 anni, che la figlia Eleonora, classe 1982, partecipano a Torino 2006 nella stessa disciplina. Sono infatti titolari delle nazionali maschile e femminile di curling, sorta di gioco delle bocce sul ghiaccio inventato dai guerrieri scozzesi nel 1500. Vince chi manda la stone, una pietra di 20 kg, più vicino a un bersaglio posto a circa 40 metri di distanza, facendola scivolare sulla pista ghiacciata. Mentre la stone “viaggia”, due compagni del lanciatore spazzano il ghiaccio davanti per farla filare. Gli Alverà sono di Cortina; il curling italiano, zero chance di medaglia, si gioca solo in Cadore e conta 430 praticanti. Che da veri montanari non vedono l’ora che finisca tutta questa curiosità sulle rolling stones.

Si può discutere sul fatto che gli slittinisti azzurri medagliati conoscano o no l’inno nazionale. In fondo non lo sanno manco i calciatori della nazionale. Però un terzo delle 95 medaglie vinte in tutte le Olimpiadi invernali viene dall’Alto Adige. Anche l’hockey femminile è in debito con questa provincia: la 23enne bolzanese Sabina Florian ha segnato lunedì alla Russia il primo, storico gol olimpico della squadra azzurra. Il sogno di Sabina? «Che i media parlino di me». Fatto.

I quattro bobbisti brasiliani sono invece in gara con un avversario assente. Vogliono infatti battere in simpatia i colleghi giamaicani, che dopo la partecipazione alle Olimpiadi di Calgary del 1988 divennero protagonisti di un film della Disney e di uno spot della Fiat, grande sponsor dei Giochi torinesi. L’equipaggio giamaicano ha fallito la qualificazione sul filo di lana e si sta preparando per Vancouver 2010, dove tra i due Paesi senza inverno si annuncia un derby al calor bianco.

A proposito di sponsor, mentre Isolde Kostner sparava a zero sulle compagne a suo dire poco allenate (guardando la paffutella Merighetti e le Fanchini qualche dubbio sorge), impossibile non notare il marchio del suo giubbotto barrato con lo scotch di carta. Motivo? Sui siti olimpici possono girare, da contratto, solo i logo degli sponsor. Così ecco che uno zelante finanziere ha multato un panettiere di Torino che, in barba alle esclusive, aveva sfornato una pagnotta a cinque cerchi. Insomma, caccia serrata al “no logo”, dietro l’angolo come dietro il bancone.