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Calcio

Il futuro è nei giovani

Kakà e Ibrahimovic in partenza per la Spagna, la serie A ha perso fascino rispetto alla Liga e alla Premier League.� I nostri�club devono tornare a investire nei settori giovanili e sperare nei talent-scout per scovare�i big di domani�

Mauro COLOMBO Redazione

5 Giugno 2009

Il campionato di calcio ha dunque emesso i suoi verdetti: con gli uomini (e gli schemi) di Mancini e in attesa di nuova linfa, Mourinho ha prolungato il ciclo vincente dell’Inter; Juventus e Milan rimangono sostanzialmente comprimarie (da terza e quinta nel 2008 a seconda e terza nel 2009); la Fiorentina si conferma nella lista d’attesa della grande Europa; la Roma subisce un brusco ridimensionamento, mentre crescono Genoa, Palermo, Udinese e Cagliari; il Torino torna mestamente in B a 60 anni esatti da Superga.
A pochi giorni dalla fine del torneo, il calcio italiano si proietta già verso la prossima stagione e si scopre improvvisamente più povero. Non bastavano gli addii di due ex Palloni d’oro come Figo e Nedved (ma sarà poi vero?) e di Paolo Maldini, che quel trofeo l’avrebbe meritato più di una volta. Non bastava la partenza per l’Inghilterra di Carlo Ancelotti. Proprio Milan e Inter rischiano di perdere i loro uomini-simbolo, Kakà e Ibrahimovic. Il brasiliano rossonero è ormai a un passo dal Real Madrid, lo svedese nerazzurro è sempre più nel mirino del Barcellona. Verso la sponda milanista risuonano minacciose pure le sirene del Chelsea per il giovane fenomeno Pato, che pare tutt’altro che insensibile. E non è detto che tutti vadano a guadagnare più di quanto già non facciano in Italia.
La serie A conferma di aver perso irrimediabilmente appeal rispetto alla Liga spagnola e alla Premier League inglese (senza dimenticare, negli anni scorsi, le emigrazioni di campioni del mondo come Cannavaro, Zambrotta, Toni, Grosso, Oddo, Barzagli e Zaccardo). Nel preparare il popolo rossonero al congedo di Kakà, l’amministratore delegato del Milan Adriano Galliani ha snocciolato le cause di questo declassamento, che va ripetendo da anni – gli deve essere riconosciuto -, già in tempi non sospetti: in Spagna e Inghilterra i club sono proprietari degli stadi, che sono così fonte di ulteriori introiti attraverso ristoranti, centri commerciali e cinema sorti all’interno del loro complesso; godono di un regime fiscale che, a parità di “lordo”, consente di pagare di più i giocatori al “netto”; esiste un diverso sistema di ripartizione dei diritti televisivi, a tutto beneficio delle società più ricche. Ecco perché i big sono attratti da Madrid, Barcellona e Londra e perché anche miliardari come Berlusconi e Moratti possono essere costretti alla resa.
Che fare? In attesa di radicali riforme strutturali (al momento improbabili), le squadre italiane dovrebbero da un lato tornare a investire con più convinzione nei settori giovanili, che potrebbero scoprire “tesori” direttamente in casa; dall’altra, affidarsi con ancora più energia ai cari, vecchi talent-scout sparsi in giro per il mondo, in grado di rintracciare le stimmate del campione in ragazzi non ancora affermati e, quindi, non ancora iper-valutati. Insomma, per reggere la concorrenza e tornare competitivo a livello internazionale, il futuro del nostro calcio passa dai giovani. Il campionato di calcio ha dunque emesso i suoi verdetti: con gli uomini (e gli schemi) di Mancini e in attesa di nuova linfa, Mourinho ha prolungato il ciclo vincente dell’Inter; Juventus e Milan rimangono sostanzialmente comprimarie (da terza e quinta nel 2008 a seconda e terza nel 2009); la Fiorentina si conferma nella lista d’attesa della grande Europa; la Roma subisce un brusco ridimensionamento, mentre crescono Genoa, Palermo, Udinese e Cagliari; il Torino torna mestamente in B a 60 anni esatti da Superga.A pochi giorni dalla fine del torneo, il calcio italiano si proietta già verso la prossima stagione e si scopre improvvisamente più povero. Non bastavano gli addii di due ex Palloni d’oro come Figo e Nedved (ma sarà poi vero?) e di Paolo Maldini, che quel trofeo l’avrebbe meritato più di una volta. Non bastava la partenza per l’Inghilterra di Carlo Ancelotti. Proprio Milan e Inter rischiano di perdere i loro uomini-simbolo, Kakà e Ibrahimovic. Il brasiliano rossonero è ormai a un passo dal Real Madrid, lo svedese nerazzurro è sempre più nel mirino del Barcellona. Verso la sponda milanista risuonano minacciose pure le sirene del Chelsea per il giovane fenomeno Pato, che pare tutt’altro che insensibile. E non è detto che tutti vadano a guadagnare più di quanto già non facciano in Italia.La serie A conferma di aver perso irrimediabilmente appeal rispetto alla Liga spagnola e alla Premier League inglese (senza dimenticare, negli anni scorsi, le emigrazioni di campioni del mondo come Cannavaro, Zambrotta, Toni, Grosso, Oddo, Barzagli e Zaccardo). Nel preparare il popolo rossonero al congedo di Kakà, l’amministratore delegato del Milan Adriano Galliani ha snocciolato le cause di questo declassamento, che va ripetendo da anni – gli deve essere riconosciuto -, già in tempi non sospetti: in Spagna e Inghilterra i club sono proprietari degli stadi, che sono così fonte di ulteriori introiti attraverso ristoranti, centri commerciali e cinema sorti all’interno del loro complesso; godono di un regime fiscale che, a parità di “lordo”, consente di pagare di più i giocatori al “netto”; esiste un diverso sistema di ripartizione dei diritti televisivi, a tutto beneficio delle società più ricche. Ecco perché i big sono attratti da Madrid, Barcellona e Londra e perché anche miliardari come Berlusconi e Moratti possono essere costretti alla resa.Che fare? In attesa di radicali riforme strutturali (al momento improbabili), le squadre italiane dovrebbero da un lato tornare a investire con più convinzione nei settori giovanili, che potrebbero scoprire “tesori” direttamente in casa; dall’altra, affidarsi con ancora più energia ai cari, vecchi talent-scout sparsi in giro per il mondo, in grado di rintracciare le stimmate del campione in ragazzi non ancora affermati e, quindi, non ancora iper-valutati. Insomma, per reggere la concorrenza e tornare competitivo a livello internazionale, il futuro del nostro calcio passa dai giovani.

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