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Emarginazione

Immigrati: e le chiamano case?

Molti stranieri vivono in palazzi a rischio di crollo, con impianti fuori norma e in precarie condizioni igieniche. Pagano anche un affitto, ma nessuno provvede alle necessarie ristrutturazioni

Cristina CONTI Redazione

12 Giugno 2009

Viale Espinasse, via Goldoni, Santa Maria del Suffragio e via Gulli. Sono alcune delle strade in cui hanno sede palazzi fatiscenti abitanti da immigrati. Affitti in nero in edifici abbandonati, con impianti fuori norma, circondati dai rifiuti e dagli insetti. Uomini e donne, in maggioranza cingalesi, fuggiti dal loro Paese in cerca di un lavoro e di un porto sicuro. Pagavano anche 100 euro a testa per vivere ammassati e in costante pericolo di vita. Vita da extracomunitario, che si accontenta di trascorrere le notti in un seminterrato, circondato da topi e zecche, o in un bilocale, insieme ad altre venti persone. «Ci troviamo di fronte a una strategia di voluto abbandono che non può più essere tollerata – denuncia il vicesindaco Riccardo De Corato -. Questo comportamento crea problemi ai cittadini e cerca di guadagnare sulla disperazione degli immigrati».
La proprietà delle case è di tre società – Ilma, Certosa-Sangallo e Slima – che fanno capo direttamente o indirettamente alla famiglia Maddalena. Ma tutte dichiarano di aver sporto in passato denunce contro gli abusivi e di non essere responsabili delle occupazioni. Gli immigrati, dal canto loro, pensavano di essere regolari, perché ogni mese pagavano un affitto.
Secondo le ultime relazioni della Asl e della polizia le strutture erano in un tale stato di abbandono da mettere in pericolo l’incolumità delle persone per eventuali crolli. Ma ristrutturare costa troppo. «Ci era stato affidato l’incarico di gestire lo stabile. Abbiamo cercato di ristabilire legalità e trasparenza, ma presto abbiamo capito che non ci si voleva muovere in quella direzione – precisa Federico Citarella, titolare dello studio che si è occupato per nove mesi del Palazzo di Santa Maria del Suffragio -. D’altra parte non potevamo nemmeno stipulare nuovi contratti, perché mancavano le condizioni per l’abitabilità».
E a farne le spese è stata ancora una volta la città. Dietro a tanto degrado, infatti, molti clandestini erano dediti allo spaccio di droga, mentre altri venivano sfruttati nel lavoro nero. «La situazione è davvero grave, eventi del genere non devono ripetersi più – ha concluso De Corato -. Chiederò al prefetto una task-force per intervenire tempestivamente in futuro». Viale Espinasse, via Goldoni, Santa Maria del Suffragio e via Gulli. Sono alcune delle strade in cui hanno sede palazzi fatiscenti abitanti da immigrati. Affitti in nero in edifici abbandonati, con impianti fuori norma, circondati dai rifiuti e dagli insetti. Uomini e donne, in maggioranza cingalesi, fuggiti dal loro Paese in cerca di un lavoro e di un porto sicuro. Pagavano anche 100 euro a testa per vivere ammassati e in costante pericolo di vita. Vita da extracomunitario, che si accontenta di trascorrere le notti in un seminterrato, circondato da topi e zecche, o in un bilocale, insieme ad altre venti persone. «Ci troviamo di fronte a una strategia di voluto abbandono che non può più essere tollerata – denuncia il vicesindaco Riccardo De Corato -. Questo comportamento crea problemi ai cittadini e cerca di guadagnare sulla disperazione degli immigrati».La proprietà delle case è di tre società – Ilma, Certosa-Sangallo e Slima – che fanno capo direttamente o indirettamente alla famiglia Maddalena. Ma tutte dichiarano di aver sporto in passato denunce contro gli abusivi e di non essere responsabili delle occupazioni. Gli immigrati, dal canto loro, pensavano di essere regolari, perché ogni mese pagavano un affitto.Secondo le ultime relazioni della Asl e della polizia le strutture erano in un tale stato di abbandono da mettere in pericolo l’incolumità delle persone per eventuali crolli. Ma ristrutturare costa troppo. «Ci era stato affidato l’incarico di gestire lo stabile. Abbiamo cercato di ristabilire legalità e trasparenza, ma presto abbiamo capito che non ci si voleva muovere in quella direzione – precisa Federico Citarella, titolare dello studio che si è occupato per nove mesi del Palazzo di Santa Maria del Suffragio -. D’altra parte non potevamo nemmeno stipulare nuovi contratti, perché mancavano le condizioni per l’abitabilità».E a farne le spese è stata ancora una volta la città. Dietro a tanto degrado, infatti, molti clandestini erano dediti allo spaccio di droga, mentre altri venivano sfruttati nel lavoro nero. «La situazione è davvero grave, eventi del genere non devono ripetersi più – ha concluso De Corato -. Chiederò al prefetto una task-force per intervenire tempestivamente in futuro».