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Milano

Un popolo in marcia dice no alla mafia

Cinquantamila persone hanno partecipato alla manifestazione di Libera nella Giornata della memoria e dell'impegno in ricordo delle vittime innocenti. Don Ciotti: «Siate ribelli anche voi, non si può più tacere»

di Annamaria Braccini

21 Marzo 2023
Un momento del corteo (foto Agenzia Fotogramma)

«Questa piazza è per voi». La piazza non è una come tante, è quella del Duomo inondata di sole e già da qualche ora mèta di giovani, studenti, associazioni, gruppi di cittadini di tutte le età, scouts, dove scoppia subito un applauso, spontaneo, che pare non finire mai, quando – sulle note di Imagine – entrano i 500 familiari delle vittime di mafia e, dietro loro, i 50 mila che hanno camminato con loro «per non dimenticare». La piazza è appunto tutta per loro, per quelli che credono che sia possibile non cedere all’ingiustizia e all’indifferenza. Così come testimonia ogni anno la grande Giornata in memoria delle vittime innocenti delle mafie, la 28esima organizzata da Libera, che quest’anno si celebra a Milano, dopo 13 anni, per ricordare i trent’anni dalla strage di via Palestro, strada da cui non a caso prende il via la manifestazione.  

Piazza Duomo gremita dai partecipanti alla manifestazione (foto Agenzia Fotogramma)
Piazza Duomo gremita dai partecipanti alla manifestazione (foto Agenzia Fotogramma)

Genitori e figli

Nello spazio davanti al palco allestito per l’occasione – cui fa da splendida cornice il Duomo, ma soprattutto la massa dei partecipanti colorata da bandiere, gonfaloni e insegne -, ci sono le autorità, i volti noti della società civile che non si arrende, i familiari venuti da tutt’Italia, con tanti di loro che indossano una maglietta bianca con il nome e la fotografia del congiunto ucciso o un semplice cartello con la data del giorno più triste della loro vita. Madri e padri, magari ormai anziani, ma che vogliono comunque esserci, come dice un genitore a cui nel 1993 a Napoli hanno ammazzato per sbaglio il figlio 33enne: «Finché ce la faremo saremo qui». E poi figli e figlie, come quelle di Pietro Carpita ucciso, anche lui per errore, a Cinisello Balsamo nel 1990: sono loro a raccontare la vita di ragazzine private dell’affetto paterno e della difficoltà di crescere, prima che inizi la lunga e straziante lettura dei nomi delle 1096 vittime. A scandirli, tante e diverse voci, a partire dal sindaco Beppe Sala, che avvia l’elenco dalla prima di queste vittime senza colpa, Giuseppe Montalbano, ammazzato il 3 marzo 1861.

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Per oltre 40 minuti si protrae la lettura – cui prendono parte personalità impegnate nelle istituzioni, politici, sindacalisti, gente comune, preti come il Vicario episcopale, monsignor Luca Bressan -e che si conclude con Gian Carlo Caselli, uomo-simbolo della lotta alla mafia. Una lettura costellata da applausi quando vengono ricordati Paolo Borsellino, Giovanni Falcone, ma anche il generale dalla Chiesa e Lea Garofalo, la coraggiosa donna soppressa 10 anni fa per aver denunciato la ’ndrangheta. 

Poi l’intervento di Roberto Montà, presidente di Avviso Pubblico (co-organizzatore della Giornata con Libera), che non dimentica un pensiero per l’Ucraina e scandisce: «Questa piazza applaude per gli arresti eccellenti, ma non è finita qui». E infine il presidente di Libera, don Luigi Ciotti, con un intervento che dura più di mezz’ora e che è come un pugno allo stomaco, costringendo tutti a pensare, a farsi carico ognuno delle proprie responsabilità, a piangere, come fanno alcuni in piazza.   

La nuova mafia del potere economico

«È possibile sognare un Paese senza mafia? Sì, è possibile, guardatevi», grida don Ciotti, rivolgendosi direttamente ai partecipanti: «Finché non ci sarà una presa di coscienza collettiva sulle ricadute della peste mafiosa, non si riuscirà a estirpare il male alla radice, una radice che è culturale, sociale, etica».

E questo per evitare «il pericolo della normalizzazione, nonostante tante cose belle che sono state fatte – avverte il fondatore di Libera -. Oggi la differenza la fa l’indifferenza: questo non è uno dei problemi, è il problema, perché c’è una convivenza con le mafie dovuta a connivenza e a sottovalutazioni, con letture inadeguate e antiche della situazione». Il riferimento è alla «saldatura tra capitali mafiosi e potere economico che chiede nuovi paradigmi. Le mafie sono diventate imprese moderne che ammazzano meno e ricorrono meno alla violenza perché possono contare sulla violenza bianca degli affari e dei crimini tributari». Senza dimenticare i legami con la massoneria deviata: «Grovigli di interesse dove il bene pubblico è degradato in vista di benefici privati. Le mafie sembrano diventate un’agenzia di servizi».  

Il sindaco Sala e don Luigi Ciotti (foto Agenzia Fotogramma)

«Grazie a tutti voi che rappresentate qui la sacralità delle istituzioni, perché il primo nemico è l’indifferenza, il farsi i fatti propri». Cita, don Ciotti, la lettera inviatagli dalla senatrice Liliana Segre che sottolinea come le «nostre traiettorie si incrociano nel nome della memoria e dell’impegno. Ciò che ci unisce è il culto della memoria, ricordare tutti, donne, uomini, bambini condannati a vivere una vita indegna».

L’appello ai giovani e alla scuola

Di fronte a tutto questo, la speranza non può che essere nei giovani. «I nostri ragazzi sono meravigliosi, ma hanno bisogno di adulti veri» e della scuola, di insegnanti che vivano la professione come una vocazione: «Una scuola che sia sovversiva, una spina nel fianco della rassegnazione. Così è possibile vincere le mafie, contagiare gli altri, scuotere le coscienze». Soprattutto pensando che «l’80% dei familiari delle vittime non conosce la verità o ne sa solo una piccola parte: eppure le verità passeggiano per le vie del nostro Paese perché c’è chi sa. L’omertà uccide la verità e la giustizia».

Il ricordo dei morti di Cutro

Infine, il ricordo delle vittime di Cutro, «perché la strage è figlia di quella ingiustizia globale che si chiama Mediterraneo, dove nuotano e sguazzano le mafie, ma dove ci sono anche le Ong che salvano. Le mafie vincono dove l’umanità annega. Le migrazioni forzate sono indegne: una persona non può essere privata della libertà e della dignità perché è nata in una delle zone del mondo devastate dall’ingiustizia. I morti sono la coscienza sporca di un Occidente che si volta dall’altra parte. Quando il valore del denaro è superiore a quello della vita c’è una guerra subdola e nascosta. È offensivo e ipocrita chiedere ai migranti se sono coscienti dei rischi, perché la loro scelta è tra la vita e la morte. Le mafie sono internazionali, il segno di una globale diserzione etica. Non prendiamocela solo con le istituzioni e la politica, ma anche con noi cittadini», conclude don Ciotti, richiamando la contemporanea visita del presidente Mattarella a Casal di Principe, nel Casertano, il paese dove era parroco don Peppe Diana, ucciso nel 1994. «Un ribelle che legava la terra con il cielo. Siate ribelli anche voi, non si può più tacere», dice commosso don Ciotti mentre sul mega schermo scorrono i nomi dei più piccoli morti nel naufragio di Cutro.

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