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In libreria

La tv che non c’è

Come e perché riformare la Rai in un libro di Gilberto Squizzato

15 Aprile 2010

Le cronache di queste settimane ci consegnano la desolante immagine di un servizio pubblico imbavagliato, sottoposto alle prepotenze del potere che lo considera come sua proprietà, piegato a fini di parte nel più spregiudicato disprezzo delle regole, mentre autorità che dovrebbero essere di garanzia sono infiltrate da abusivi e corrosivi sodalizi. Così non si può andare avanti.
Ma come restituire una volta per tutte la Rai ai suoi legittimi proprietari, cioè ai cittadini che pagano il canone, sottraendola al controllo dei partiti e dei potenti che a ogni elezione la considerano un bottino da spartirsi per quote? Come garantire nei Tg e nei Gr un autentico pluralismo, dando voce non solo alla politica, ma anche e soprattutto alle tantissime articolazioni della società (associazioni, sindacati, università, scuole, centri di ricerca, comunità locali)? Per quale via riportare all’interno dell’azienda l’ideazione dei palinsesti, oggi largamente delegata alle società esterne che adattano format di importazione? Quale dev’essere il corretto rapporto fra programmi e pubblicità in un autentico servizio pubblico? In che modo designare gli amministratori della Rai perché questa sia al servizio di tutti?
Non è solo questione di conflitto di interessi, spiega Gilberto Squizzato in La tv che non c’è (Minimum Fax, 237 pagine, 13 euro, con prefazione di Beppe Giulietti e una nota di Roberto Natale), uno studio ragionato e documentato senza sconti al centrosinistra che non seppe (o non volle) sanare nei suoi sette anni al Governo la questione del conflitto di interessi. Ci sono anche altri mali che minano alla base la possibilità stessa della Rai di sopravvivere: la sua progressiva omologazione alle emittenti commerciali, il mancato rinnovamento dei quadri editoriali, l’impoverimento del suo know-how per una politica di incentivazioni all’esodo dei dipendenti, la rinuncia ad avere un pool di formidabili autori interni, l’ipertrofia della burocrazia amministrativa a discapito dei quadri editoriali e creativi, il ricorso sistematico all’esternalizzazione di molti dei programmi più costosi, l’alluvione di uomini di partito che eson-dano in ogni area del palinsesto, la mancata riforma federale di Rai Tre, un’organizzazione aziendale accentrata e paralizzante che finisce per omologare le differenze delle reti radio e tv in direzione di un “pensiero unico”.
L’autore analizza le cause di una malattia mortale che ha portato oggi la Rai, come ha dichiarato il presidente Garimberti, «a una lenta agonia» da cui non ci sarà ritorno: «O si cambia o il nostro destino è segnato». Squizzato rivendica anche per l’informazione pubblica il ruolo di bene pubblico e strategico, esattamente come l’acqua, perché solo una Rai autonoma e forte può salvaguardare il diritto del cittadino a essere correttamente e completamente informato, così da poter esercitare in pieno i suoi diritti democratici. Una Rai che non debba subire, come ha denunciato il presidente della Commissione di indirizzo e vigilanza Sergio Zavoli, le strozzature «di troppi filtri esterni», perché oggi «manca solo il filo spinato: così la strangoleranno».
Un libro che scardina luoghi comuni e pregiudizi inveterati (come quello che i programmi delle emittenti private siano offerti gratuitamente al pubblico) e dissipa equivoci che hanno ingannato anche la sinistra, butta all’aria le proposte di illusori palliativi e scarta la “buona” lottizzazione, perché è dalle fondamenta che va ricostruita una nuova Rai. Occorrono invece soluzioni forti: non solo una Carta del Servizio Pubblico Multimediale che abbia valore di legge fondativa, ma anche un nuovo metodo di nomina del Consiglio di amministrazione in cui sia ridotto il numero dei politici per dar voce preminente alle diverse componenti della società italiana, una nuova linea editoriale, un nuovo modello organizzativo dell’azienda collegato a una coraggiosa riforma federale della Rai.
Analisi, riflessioni e proposte di riforma che non sono offerte solo agli addetti ai lavori, ma a tutti: ai lavoratori della Rai, alle associazioni degli utenti, ai sindacati, al mondo della cultura, dell’educazione, delle realtà produttive ed editoriali, all’intera società che ha diritto di esigere un servizio pubblico radiotelevisivo all’altezza delle nuove sfide epocali proposte dai tempi difficili che viviamo. Le cronache di queste settimane ci consegnano la desolante immagine di un servizio pubblico imbavagliato, sottoposto alle prepotenze del potere che lo considera come sua proprietà, piegato a fini di parte nel più spregiudicato disprezzo delle regole, mentre autorità che dovrebbero essere di garanzia sono infiltrate da abusivi e corrosivi sodalizi. Così non si può andare avanti.Ma come restituire una volta per tutte la Rai ai suoi legittimi proprietari, cioè ai cittadini che pagano il canone, sottraendola al controllo dei partiti e dei potenti che a ogni elezione la considerano un bottino da spartirsi per quote? Come garantire nei Tg e nei Gr un autentico pluralismo, dando voce non solo alla politica, ma anche e soprattutto alle tantissime articolazioni della società (associazioni, sindacati, università, scuole, centri di ricerca, comunità locali)? Per quale via riportare all’interno dell’azienda l’ideazione dei palinsesti, oggi largamente delegata alle società esterne che adattano format di importazione? Quale dev’essere il corretto rapporto fra programmi e pubblicità in un autentico servizio pubblico? In che modo designare gli amministratori della Rai perché questa sia al servizio di tutti?Non è solo questione di conflitto di interessi, spiega Gilberto Squizzato in La tv che non c’è (Minimum Fax, 237 pagine, 13 euro, con prefazione di Beppe Giulietti e una nota di Roberto Natale), uno studio ragionato e documentato senza sconti al centrosinistra che non seppe (o non volle) sanare nei suoi sette anni al Governo la questione del conflitto di interessi. Ci sono anche altri mali che minano alla base la possibilità stessa della Rai di sopravvivere: la sua progressiva omologazione alle emittenti commerciali, il mancato rinnovamento dei quadri editoriali, l’impoverimento del suo know-how per una politica di incentivazioni all’esodo dei dipendenti, la rinuncia ad avere un pool di formidabili autori interni, l’ipertrofia della burocrazia amministrativa a discapito dei quadri editoriali e creativi, il ricorso sistematico all’esternalizzazione di molti dei programmi più costosi, l’alluvione di uomini di partito che eson-dano in ogni area del palinsesto, la mancata riforma federale di Rai Tre, un’organizzazione aziendale accentrata e paralizzante che finisce per omologare le differenze delle reti radio e tv in direzione di un “pensiero unico”.L’autore analizza le cause di una malattia mortale che ha portato oggi la Rai, come ha dichiarato il presidente Garimberti, «a una lenta agonia» da cui non ci sarà ritorno: «O si cambia o il nostro destino è segnato». Squizzato rivendica anche per l’informazione pubblica il ruolo di bene pubblico e strategico, esattamente come l’acqua, perché solo una Rai autonoma e forte può salvaguardare il diritto del cittadino a essere correttamente e completamente informato, così da poter esercitare in pieno i suoi diritti democratici. Una Rai che non debba subire, come ha denunciato il presidente della Commissione di indirizzo e vigilanza Sergio Zavoli, le strozzature «di troppi filtri esterni», perché oggi «manca solo il filo spinato: così la strangoleranno».Un libro che scardina luoghi comuni e pregiudizi inveterati (come quello che i programmi delle emittenti private siano offerti gratuitamente al pubblico) e dissipa equivoci che hanno ingannato anche la sinistra, butta all’aria le proposte di illusori palliativi e scarta la “buona” lottizzazione, perché è dalle fondamenta che va ricostruita una nuova Rai. Occorrono invece soluzioni forti: non solo una Carta del Servizio Pubblico Multimediale che abbia valore di legge fondativa, ma anche un nuovo metodo di nomina del Consiglio di amministrazione in cui sia ridotto il numero dei politici per dar voce preminente alle diverse componenti della società italiana, una nuova linea editoriale, un nuovo modello organizzativo dell’azienda collegato a una coraggiosa riforma federale della Rai.Analisi, riflessioni e proposte di riforma che non sono offerte solo agli addetti ai lavori, ma a tutti: ai lavoratori della Rai, alle associazioni degli utenti, ai sindacati, al mondo della cultura, dell’educazione, delle realtà produttive ed editoriali, all’intera società che ha diritto di esigere un servizio pubblico radiotelevisivo all’altezza delle nuove sfide epocali proposte dai tempi difficili che viviamo. L’autore – Gilberto Squizzato (1949) è giornalista, regista e autore televisivo. Ha girato per la Rai centinaia di inchieste e reportage e una lunga serie di docu-film, real movie e fiction che hanno ricevuto riconoscimenti in tutta Europa, da I racconti di Quarto Oggiaro all’Uomo dell’Argine a Suor J0, i gialli dell’anima. Insegna al Master di Giornalismo dell’Università Statale e al Centro Sperimentale di Cinematografia di Milano.