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Media e minori

«I social network prolungano il tempo sociale, non lo sostituiscono»

L'analisi di Pier Cesare Rivoltella, docente dell'Università Cattolica di Milano: «Il tempo che i minori passano con gli amici si prolunga grazie alle nuove tecnologie». Scuola e famiglia assenti nell'educazione al consumo, aprire «tavoli negoziali» con i minori

12 Novembre 2010

«Social network e cellulari per i giovani sono un prolungamento del tempo sociale; il tempo che passano con gli amici si prolunga grazie alle nuove tecnologie, ma non si tratta di una sostituzione, di sostituire amici virtuali a amici». L’analisi di Pier Cesare Rivoltella (Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano) al congresso del Centro Studi Erikson fotografa il rapporto degli adolescenti con i nuovi media, che «stanno modificando lo spazio pubblico, erodendone i confini».
I nuovi media, spiega Rivoltella, con una nuova portabilità e connettività, non ci permettono più di distinguere tra dimensione pubblica e privata. Quando un minore «pubblica un contenuto» su blog o Facebook non comprende che non è la stessa cosa che mantenerlo nel suo spazio privato, c’è confusione tra spazio privato e pubblico. «C’è un aspetto psicologico che va indagato – sottolinea Rivoltella -. Le nuove generazione fuggono dalla dimensione privata, la costruzione delle identità oggi passa ancora di più attraverso i pari, l’identità si costruisce attraverso Facebook».
La dimensione sociale in cui i minori utilizzano le nuove tecnologie è uno spazio in cui sono assenti la scuola, che non può educare, e la famiglia, che è assente, perchè troppo impegnata. «La forbice tra quello che il minore apprende fuori della scuole e quello che apprendo dentro la scuola si tra allargando – ha detto -. E più si allarga, più la scuola insiste su modi d’apprendimento che sono solo suoi, accusando i minori di non essere più quelli di una volta».
Per l’esperto occorre «creare passerelle conversazionali tra linguaggi loro e nostri, tra strumenti loro e nostri, tra culture loro e nostri. In altre parole, generare spazi di discorso in cui può avvenire l’educazione». Inoltre è necessario aprire tavoli negoziali, «cominciare a mettere in gioco le ragioni dell’adulto e del minore e provare a costruire strade condivise e praticabili. E l’esperienza ci dice che se sono condivise sono anche praticabili». «Social network e cellulari per i giovani sono un prolungamento del tempo sociale; il tempo che passano con gli amici si prolunga grazie alle nuove tecnologie, ma non si tratta di una sostituzione, di sostituire amici virtuali a amici». L’analisi di Pier Cesare Rivoltella (Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano) al congresso del Centro Studi Erikson fotografa il rapporto degli adolescenti con i nuovi media, che «stanno modificando lo spazio pubblico, erodendone i confini».I nuovi media, spiega Rivoltella, con una nuova portabilità e connettività, non ci permettono più di distinguere tra dimensione pubblica e privata. Quando un minore «pubblica un contenuto» su blog o Facebook non comprende che non è la stessa cosa che mantenerlo nel suo spazio privato, c’è confusione tra spazio privato e pubblico. «C’è un aspetto psicologico che va indagato – sottolinea Rivoltella -. Le nuove generazione fuggono dalla dimensione privata, la costruzione delle identità oggi passa ancora di più attraverso i pari, l’identità si costruisce attraverso Facebook».La dimensione sociale in cui i minori utilizzano le nuove tecnologie è uno spazio in cui sono assenti la scuola, che non può educare, e la famiglia, che è assente, perchè troppo impegnata. «La forbice tra quello che il minore apprende fuori della scuole e quello che apprendo dentro la scuola si tra allargando – ha detto -. E più si allarga, più la scuola insiste su modi d’apprendimento che sono solo suoi, accusando i minori di non essere più quelli di una volta».Per l’esperto occorre «creare passerelle conversazionali tra linguaggi loro e nostri, tra strumenti loro e nostri, tra culture loro e nostri. In altre parole, generare spazi di discorso in cui può avvenire l’educazione». Inoltre è necessario aprire tavoli negoziali, «cominciare a mettere in gioco le ragioni dell’adulto e del minore e provare a costruire strade condivise e praticabili. E l’esperienza ci dice che se sono condivise sono anche praticabili».