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Limbiate

«Troppo breve è stata la vita, ma la tua partenza non diventerà un’assenza»

Nel campo sportivo di Limbiate, l’Arcivescovo ha presieduto le esequie dell’ambasciatore Luca Attanasio. Una folla commossa ha partecipato al Rito, presenti i familiari, le autorità e tanti semplici cittadini amici del diplomatico ucciso in Congo

di Annamaria Braccini

17 Marzo 2021

Quando i riflettori si spengono, calano il buio e il silenzio, sono dimenticati onori e clamori e perde interesse la cronaca, ognuno sta solo davanti al Signore. Rimangono solo le sue e le nostre parole.
E così l’Arcivescovo, che presiede le esequie per l’ambasciatore italiano nella Repubblica Democratica del Congo, Luca Attanasio, immagina il dialogo tra questo generoso giovane servitore dello Stato – ucciso barbaramente lunedì scorso insieme al carabiniere Vittorio Iacovacci e all’autista Mustapha Milanbo – e il suo Signore.
Accanto al vescovo Mario, nel campo sportivo di Limbiate, concelebrano il vescovo ausiliare monsignor Erminio De Scalzi, don Angelo Gornati, il parroco della gioventù di Luca, don Antonio Novazzi, vicario episcopale della Zona 7, il parroco di Limbiate, don Valerio Brambilla. Una ventina di altri presbiteri concelebrano ai piedi dell’altare.
La giovane moglie Zakia, i genitori Alida e Salvatore, la sorella Maria, i parenti, gli amici, i tanti che lo hanno conosciuto in questa città alle porte di Milano, dove Attanasio era cresciuto e a cui era legatissimo, persino i semplici canti oratoriani che accompagnano la celebrazione, raccontano una storia di affetti scritta anche sui volti delle centinaia di persone che non hanno voluto mancare a questo saluto e, nelle ore precedenti, alla preghiera presso la Camera ardente.
Le autorità – partecipano alla Messa, tra agli altri, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, il presidente del Consiglio regionale Alessandro Fermi, Riccardo Borgonovo, vicepresidente della Provincia di Monza Brianza e tanti sindaci del territorio – i ragazzi, i volontari della Protezione civile e della parrocchia di San Giorgio, i carabinieri, sono testimonianza viva di un tributo di affetto evidente e sincero che prende la forma anche di un mazzo di fiori deposti da rappresentanti del mondo islamico. Infatti – e l’Arcivescovo li ringrazia per la presenza alla fine della funzione – ci sono Maher Kabakebbji, presidente della Moschea Mariam di Milano, con Souheir Katkhouda, delle Donne Musulmane d’’Italia. Particolarmente commossi appaiono André Siani, presidente del Centro Orientamento Educativo-COE, arrivato con altri aderenti e il referente lombardo della Comunità congolese in Italia, Mulumba Bin Kazadi.
La bara avvolta dal Tricolore, posta davanti al semplice altare fatto di tubi di ferro, è incensata dall’Arcivescovo e benedetta, mentre montano la guardia d’onore i carabinieri in alta uniforme.
«Ci raccogliamo in preghiera, rinnoviamo in questa celebrazione la nostra speranza in Cristo. A Lui che ha conosciuto le lacrime per la morte di una persona amata affidiamo il nostro smarrimento e pianto perché ci dia pace e serenità», dice, in apertura della Messa, l’Arcivescovo che, poi, nella sua omelia – ispirata dalla pagina del Vangelo di Matteo al capitolo 25 – immagina, appunto, il dialogo. «“Da dove vieni, Luca?” “Vengo da una terra in cui la vita non conta niente; vengo da una terra dove si muore e non importa a nessuno, dove si uccide e non importa a nessuno, dove si fa il bene e non importa a nessuno. Vengo da una terra in cui la vita di un uomo non conta niente e si può far soffrire senza motivo e senza chiedere scusa”. “Non dire così, Luca, fratello mio. Io ti benedico per ogni bicchiere d’acqua, per ogni pane condiviso, per l’ospitalità che hai offerto. Troppo breve è stata la tua vita, come troppo breve è stata la mia vita. Eppure dall’alto della croce si può gridare: “È compiuto”, come nel momento estremo si può offrire il dono più prezioso, senza che il tempo lo consumi. Perciò non volgerti indietro, Luca, fratello mio; entra nella vita di Dio: tu sarai giovane per sempre”.
Anche se le ferite rimangono negli occhi dei presenti che, in un silenzio fatto di lacrime, ascoltano ancora la voce immaginaria del loro concittadino, anche lui ferito nel corpo e nel cuore.
«Sono ferito perché così gli uomini trattano coloro che li amano e coloro che li servono. Sono ferito perché ci sono Paesi dove la speranza è proibita, dove l’impresa di aggiustare il mondo è dichiarata fallita, dove la gente che conta continua a combinare i suoi affari e la gente che non conta continua a ferire e ad essere ferita. Piango perché piangono le persone che amo; piango perché restano giovani vite che hanno bisogno di abbracci e di baci; piango perché dopo il clamore scenderà il silenzio, dopo la notorietà arriverà l’oblio”.
«Ma il Signore – scandisce ancora l’Arcivescovo – dirà: “La tua partenza non diventerà un’assenza, la tua presenza nella gioia del Padre non sarà una distanza. Non piangere più, Luca, fratello mio”».
Una “presenza dell’assenza” evocata anche dalle parole conclusive del sindaco di Limbiate, Antonio Romeo, che chiamando Attanasio, «mio carissimo amico Luca», ricorda il messaggio ricevuto venerdì 19 febbraio alle ore 18.06 nel quale l’ambasciatore si complimentava per l’acquisto, da parte del Comune, di Villa Medolago, che diventerà un polo educativo e che verrà intitolata proprio al diplomatico. Poi, i ricordi di tre amici, tra cui uno legge il messaggio a nome della famiglia. «Siamo distrutti dal dolore, ma dobbiamo essere forti per essere accanto a Zackia e alle nostre splendide nipotine. Addio ambasciatore di pace e caro figlio», concludono i parenti ricordando anche il sacrificio del carabiniere Iacovacci, mentre gli amici confermano il loro sostegno a “Mama Sofia”, la Onlus fondata nel 2017 dalla moglie di Attanasio e di cui lui era presidente onorario, nata per salvare dalla strada i bimbi congolesi.
Alla fine, a sorpresa, si ascolta anche la voce dell’ambasciatore in un breve messaggio vocale in cui annunciava la partenza di due voli carichi di 300 persone, di cui 100 italiani, che avevano chiesto di lasciare il Congo a causa dei disordini nel Paese.
«Ce l’abbiamo fatta. Pace e amore. Viva l’Italia, sempre un passo avanti», le ultime parole.
Come un addio, prima che il feretro, tra gli applausi, venga portato al Cimitero maggiore di Limbiate.

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