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Liturgia

«Te laudamus», perché cantare meglio si può e si deve

Con un webinar di presentazione il 18 settembre il percorso formativo diocesano per animatori musicali riparte con una convinzione: nelle nostre comunità si può ancora coltivare l’arte del canto sacro.

di Daniele V. FILIPPI Musicologo, docente di Storia del canto cristiano

14 Settembre 2025
Il gruppo dei direttori di coro durante la Messa conclusiva del «Te laudamus» dello scorso anno presso la parrocchia del Redentore a Milano

Il grande direttore d’orchestra Carlo Maria Giulini era un cattolico praticante. A chi gli chiedeva come reagisse quando, a Messa, gli capitava di sentire certi “canti di Chiesa” malamente strimpellati, rispondeva lapidario: «Aspetto che finiscano». Come dargli torto, almeno in certi casi? Non sempre, però, le reazioni alla qualità altalenante del canto liturgico sono della stessa compostezza, ed è forte il rischio di dividersi fra urlanti tribù contrapposte: nostalgici di un passato mitizzato contro novatori senz’arte né parte. La strada del pragmatismo ambrosiano è però un’altra: si può ancora coltivare oggi, l’arte del canto sacro, in seno alle nostre comunità? Lo si può fare reclutando i volonterosi, stimolando i curiosi, valorizzando i talenti, accettando le domande, armonizzando voci e sensibilità? È questa la sfida che da alcuni anni ha preso corpo in Te laudamus, il percorso formativo per animatori musicali della liturgia promosso dalla Diocesi di Milano.

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Cosa, come e perché

Muovendo i primi passi nel 2020, siamo partiti da alcune domande fondamentali: dall’apparentemente banale «cosa cantare?», al più controverso «come cantare?», fino al provocatorio, forse inatteso, «perché cantare?». E abbiamo iniziato – cantori, direttori di coro, strumentisti, musicologi, sotto la sapiente regia inclusiva di don Riccardo Miolo – a riflettere, pregare, dialogare e fare musica insieme.

Anno dopo anno, abbiamo incontrato decine, poi centinaia (l’auspicio – inutile nasconderlo – sarebbero però le migliaia) di cristiani desiderosi di un canto liturgico più intenso, più partecipato, più degno artisticamente e spiritualmente più autentico. Sono nati corsi teorici e pratici, laboratori e atelier, dalle materie più classiche (come vocalità e direzione di coro) a quelle più sperimentali (per lo meno alle nostre latitudini: dal metodo Dalcroze alla danza liturgica); e poi webinar, lezioni collettive e individuali, ordinarie e specialistiche, due-giorni intensive al Seminario di Seveso, e negli ultimi anni anche il festival Exsultet!, raduno primaverile di «un popolo che suona/canta/ascolta con passione», come recita lo slogan coniato per Monza 2024 e Varese 2025.

La proposta

Te laudamus, che riparte anche in quest’anno pastorale, vivrà il suo primo appuntamento con un webinar di presentazione giovedì 18 settembre aperto a tutti/e (per le modalità di partecipazione si veda questa pagina). La proposta si fonda su un’idea esigente e realista: cantare meglio nelle nostre comunità si può e si deve. Per farlo occorre conoscere la storia e il presente (ossia le esperienze di altri cristiani che in altri tempi e in altri luoghi si sono posti le stesse domande: cosa, come, perché cantare?), impadronirsi gradualmente della teoria e della pratica musicale, approfondire la spiritualità del canto, sperimentare l’impegnativa comunione dei talenti. Non ci sono ricette facili: come è noto, viviamo in una società in cui non si canta più insieme (e suonare sembra prerogativa dei professionisti, anzi delle star), con una scuola quasi completamente sorda alla musica, e mille dispositivi che rischiano di deprimere anziché stimolare la musicalità che è uno dei doni più preziosi del nostro essere (e restare) umani.

Te laudamus vuole essere un segno in controtendenza: non rassegnarsi alla passività, al cattivo gusto e all’improvvisazione, espandere gli orizzonti a volte ristretti delle nostre “sacrestie musicali”, e ascoltare, ascoltare, ascoltare – allineando, come volevano i Padri, vox, cor e opus (la voce, il cuore e la prassi).