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Seveso

«Sostentamento del clero, occorre una rinnovata formazione»

Dall’imbarazzo dei preti a parlare di denaro ai rischi contrapposti di avidità e sperpero, da un’incompresa situazione di privilegio fino alle forme di vita comune come occasioni di gestione virtuosa: temi trattati dall’Arcivescovo al convegno regionale del Sovvenire

di Annamaria BRACCINI

22 Settembre 2023
Foto unitineldono.it

«Il rapporto del prete con il denaro può essere motivo di riflessione e occasione di formazione». Ne è convinto l’Arcivescovo che, nella sua veste di Metropolita lombardo, interviene alla seconda giornata dell’incontro regionale del Sovvenire, che si svolge al Centro pastorale ambrosiano di Seveso con il titolo «Corresponsabilità Partecipazione Comunione. Il Sovvenire nel cammino sinodale».

In apertura dei lavori il referente regionale Attilio Marazzi rileva la portata dell’iniziativa, che mette insieme, per la prima volta in Italia, i tre soggetti interessati al tema del sostentamento del clero: economi, incaricati del Sovvenire e Istituti diocesani, secondo quanto prevede il progetto della Cei per tutte le regioni ecclesiastiche italiane. E l’importanza dell’evento si comprende dalla partecipazione di alto livello: sono presenti, infatti, monsignor Luigi Testore (Vescovo di Acqui e Presidente dell’Istituto centrale Sostentamento Clero), il responsabile del Servizio per la Promozione del Sostegno economico alla Chiesa cattolica Massimo Monzio Compagnoni e l’economo della Cei don Claudio Francesconi. Per la Lombardia, monsignor Luca Raimondi (Vescovo delegato Cel per il Sovvenire), il vescovo emerito monsignor Giuseppe Merisi, monsignor Bruno Marinoni (vicario episcopale per gli Affari economici), don Roberto Davanzo (presidente dell’Istituto diocesano del Sostentamento) e don Massimo Pavanello (incaricato diocesano del Sovvenire).

Monsignor Luigi Testore e monsignor Giuseppe Merisi

Insomma, un modo non solo per confrontarsi sulla diminuzione (innegabile) dei cespiti dell’8×1000, ma per immaginare il futuro. Particolarmente intrigante il titolo della comunicazione dell’Arcivescovo: «Come immagino il portafoglio dei preti».

Si può parlare di soldi?

«Si può parlare di tutto, si condividono le esperienze e i problemi, le gioie e le preoccupazioni per sé, per la parrocchia, per la famiglia; si mormora dei superiori e dei confratelli, ma non si parla, non si può parlare, non sembra educato parlare di come si usano i soldi, di come ciascuno amministra i suoi beni, di come gestisce le spese proprie, dei familiari, della parrocchia». Ma perché questo tabù, si chiede. Diversi i fattori evidenziati: una certa sfiducia nell’istituzione, l’imbarazzo per scelte non giustificabili o non coerenti – «quanto si spende per il cane, per gli hobbies, per i viaggi?» – e anche, talvolta, l’incertezza sul proprio futuro, scarso realismo e poca fiducia proprio nel Sostentamento.

E, forse, anche perché «l’uso del denaro, come tanti altri aspetti, deve molto alla consuetudine della famiglia di origine del sacerdote, al suo stile di vita. Anche il prete può rischiare di diventare avido, di ritenere che ogni spesa sia legittima, magari a costo di fare debiti, se è stato educato cosi. L’uso del denaro si impara con il latte materno e, forse, dovremmo interrogarci sul perché l’educazione seminaristica non incida su questo aspetto».

L’intervento dell’Arcivescovo. A sinistra monsignor Luca Raimondi, a destra Attilio Marazzi

Una terza osservazione dell’Arcivescovo è quella che sintetizza nell’immagine simbolica: «Il portafoglio del prete è pieno di pezzi da 5 euro». «La cifra che immagino il prete abbia deciso di dare, come elemosina, a coloro che mendicano un aiuto. Non è raro il caso di preti “assediati” da “clienti cronici” che pretendono un aiuto regolare e non è raro il caso di sacerdoti vittime di truffe, ricatti, imbrogli: non ne parlano perché si vergognano, perché temono minacce e scandali. Non ne parlano e intanto sperperano fortune. Certo, il prete deve fare la carità, ma forse è meglio non lasciarsi coinvolgere direttamente, vista la vulnerabilità di fronte a storie strappalacrime, rivolgendosi a chi sa valutare meglio le situazioni, come la Caritas, per esempio».

Poi l’affondo, per una presa di coscienza più chiara da parte degli stessi presbiteri su questo tema.

Il privilegio dei sacerdoti e l’8×1000

«Il prete è privilegiato, ma non lo sa, non se ne rende conto. Fin dal primo giorno riceve casa, riscaldamento, sostentamento e talvolta offerte anche significative. Non gli manca mai niente, almeno qui da noi. Non ha l’idea di come possa essere stentata la vita di un prete in un altro paese, sotto altri cieli, dove non c’è il sostentamento. Questa abitudine a stare bene, insinua l’idea che il trattamento che il prete riceve sia dovuto e, talora, può nascerne una rivendicazione puntigliosa».

Il riferimento è all’8×1000 che «si pensa sia un toccasana, ma che può anche essere messo in discussione, oggetto di ripensamento, forse radicalmente cambiato e persino abolito. Questa potrebbe essere un’occasione per sensibilizzare la comunità». Anche perché mediamente «i sacerdoti sembrano imbarazzati nel promuovere una sensibilizzazione dei fedeli sull’argomento. Si fraintende l’aspetto implicito necessario di una sana educazione cristiana al “sovvenire” con una sorta di richiesta di soldi per sé, invece che di un aiuto alla comunità».    

Da qui qualche correttivo suggerito da monsignor Delpini, con l’indicazione della necessità che i Consigli per gli affari Economici stilino una rendicontazione precisa (nella Chiesa ambrosiana lo fanno 1050 parrocchie su 1107) e di poter contare su strumenti promettenti come il Bilancio di Missione, stilato per la prima volta a livello diocesano per l’anno pastorale 2021-2022. 

Don Massimo Pavanello, incaricato diocesano del Sovvenire

I contesti propizi

«La vita comune dei presbiteri può essere un contesto propizio per confronti, correzioni, assunzione di nuovi stili, eventualmente più coerenti con le scelte evangeliche e con l’esemplarità. Ciò che deve cambiare è il senso di appartenenza del prete al presbiterio che collabora con il Vescovo per la missione. La disponibilità di spazi ha fatto sì che le forme comunitarie come l’abitare, in parrocchia, nella stessa casa, mangiare insieme, siano venute meno. La fraternità presbiterale può essere, invece, un luogo adeguato per mettere in discussione anche la propria vita privata e quindi l’utilizzo dei soldi e dei beni», considerando che vivere insieme e la correzione fraterna «possono essere contesti educativi più incisivi di altri interventi formativi, come convegni o corsi». In questo orizzonte, bisogna intendere, per esempio, anche la Fondazione Opera Aiuto Fraterno, quale casa comune, anche se, come è ovvio, di dimensione diocesana.  

Altro correttivo, non meno importante, è non dimenticare i poveri, laddove «la rete di protezione che circonda il prete e la siepe che sta intorno agli ambienti ecclesiastici possono dare una visione troppo filtrata della vita e delle sue esigenze. La frequentazione di persone segnate da un disagio economico, abitativo, relazionale può essere provvidenziale per prendere coscienza del proprio privilegio e stimolare a correggersi, riconoscendo il pericolo di una vita borghese, condotta senza domandarsi se sia coerente con il ministero, cosi come della simmetrica tentazione del “pauperismo”. Il “pauperismo” non è, infatti, la scelta virtuosa della povertà, ma una forma di ideologia che diventa trascuratezza di sé e dei beni della comunità, oltre che principio di polemica verso l’istituzione».

Gli intervenuti al convegno

I gruppi di lavoro

Poi, l’avvio dei tre gruppi di lavoro, uno per ciascuno dei soggetti coinvolti, con l’immediata restituzione da parte dei delegati di qualche strada percorribile a breve termine.

«Occorre creare – viene sottolineato – un’équipe tra economato, Sovvenire e Istituto diocesano per affrontare insieme le realtà da declinare, poi, nei territori specifici, superando cosi il non sapere gli uni degli altri che ci condanna a essere assolutamente inefficaci. Serve che venga codificato, almeno a livello lombardo, un gruppo specifico ed esecutivo, capace di connettere le parrocchie, che coinvolga anche i vicari generali, le cancellerie delle diocesi, i revisori dei conti, l’ufficio delle Comunicazioni sociali, i referenti delle zone e le Caritas mettendo in rete la comunità».

«Quello che, come Chiesa, possiamo fare è lavorare sulla comunicazione, facendo per esempio capire che la Caritas è una realtà della Chiesa cattolica, non qualcosa a sé stante – conclude monsignor Raimondi -. L’8×1000 significa riconoscenza verso il clero, verso noi preti che agiamo la carità ascoltando la gente, celebrando funerali, accogliendo bambini, curando le ferite degli uomini tutti i giorni. Il ministero presbiterale è e fa carità perché annuncia il Vangelo. La Lombardia, a livello di regione ecclesiastica, per il suo peso di ampiezza territoriale e di popolazione, può fare scuola in questo con una logica comunionale». Quella, appunto, di “Uniti possiamo”, titolo del progetto di raccolta delle offerte per il sostentamento Clero, al quale sono iscritte 437 parrocchie di 9 delle 10 diocesi lombarde».

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