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Milano

Scola: «Il dolore di molti non impedisce
di dire, “siate sempre lieti”»

Il cardinale Scola, come tradizione, nella domenica che precede il Natale, ha visitato l’Istituto Palazzolo, presiedendo la Celebrazione eucaristica e visitando l’hospice della struttura. Anche nel sacrificio e nella prova accogliamo, come Maria, il Dio che viene, ha detto l’Arcivescovo

di Annamaria BRACCINI

21 Dicembre 2014

La mattina è fredda e nebbiosa intorno al Palazzolo, l’Istituto di cura per anziani, che un tempo era in aperta campagna e che, oggi, stretto tra gli alti ed eleganti palazzi di un nuovo quartiere, un grande Centro commerciale, e sullo sfondo, i lavori di Expo, sembra quasi la metafora della trasformazione della metropoli.
Ma l’atmosfera, all’interno della struttura che, anch’essa, ha saputo essere al passo dei tempi con impianti e reparti all’avanguardia, è calda tra tante decorazioni natalizie, i presepi, i pulitissimi e decorosi corridoi su cui si affacciano le camere dei degenti. Il cardinale Scola entra, per la quarta volta (ogni anno da quando è Arcivescovo di Milano) nella domenica che precede il Natale, appunto al “Palazzolo” e prima di tutto, saluta i pazienti. L’ampia chiesa dell’Istituto è gremita di ospiti, parenti, medici, personale, ci sono le Suore Poverelle fondate proprio dal beato Luigi Palazzolo e quelle della Carità, concelebrano monsignor Bazzari, presidente della Fondazione don Gnocchi (cui l’Istituto appartiene dal 1998), quattro dei sei sacerdoti qui ricoverati, il decano del Decanato “Cagnola” don Carlo Azzimonti, presenti il neo direttore della struttura, Roberto Costantini, i vertici della Fondazione, l’assessore Granelli in rappresentanza dell’Amministrazione comunale, le volontarie dell’Oftal che, due volte all’anno accompagnano i malati al Lourdes, gli Alpini, con il presidente della sezione di Milano, Luigi Boffi.
Tutti riuniti – in quello che non è solo un centro di eccellenza per la cura e l’attenzione alla persona, ma anche un laboratorio di integrazione con quaranta etnie diverse tra il personale a diverso titolo operante – per un momento attesissimo. A lungo preparato dall’intera realtà, nata dall’Istituto fondato nel 1938 dal beato Luigi Palazzolo come ricorda il cappellano, don Renzo Rasi, porgendo il saluto al Cardinale, dopo che i due cori, uno del Palazzolo stesso, l’altro della parrocchia cittadina di Santa Maria di Lourdes, hanno intonato il Canto di Ingresso. “Un benvenuto soprattutto da parte dei più fragili e deboli, cui cerchiamo di donare il pane che Gesù ha donato all’uomo, componente necessaria per vivere e nutrire il pianeta», dice riferendosi ai temi che guidano Expo 2015 e che vengono richiamati attraverso alcune riflessioni su Pane ed Eucaristia, fraternità e comunità poste ai piedi dell’Altare.
«Anche per me e un’occasione preziosa per volgere il cuore e la mente al Dio che si fa bambino», risponde subito l’Arcivescovo che sottolinea: «Celebriamo il fatto centrale della nostra fede: il fatto che ha dato senso alla storia, il fatto pieno di gratuità e di mistero, fino a risultare per noi inconcepibile, che è la decisore della Trinità di mandare il figlio di Dio nella carne umana».
Dunque, figli – a nostra volta – di un Dio che si è coinvolto, incarnato nella storia della famiglia umana, del Signore che è uomo tra gli uomini e «accompagnandoci lungo le gioie e le pene, le speranza e le angosce» che segano inevitabilmente la vita di ognuno. Ciò che il Cardinale definisce il «mistero potente» dell’incarnazione, nel quale nessuno è mai lasciato solo», appunto perché Dio è diventato un Dio vicino, l’ “Emmauele”, il Dio con noi. Parole, queste, che Scola rivolge soprattutto ai malati – moltissimi quelli in carrozzina presenti – come pure ai tanti che, non potendo essere in chiesa, seguono attraverso interfono, l’Eucaristia. «È bello che tante realtà siano qui, rappresentando il popolo di Dio, dai più giovani, i chierichetti della parrocchia di Santa Marcellina, fino ai nostri grandi vecchi, segnati dalla malattia», aggiunge, infatti.
Se l’interrogativo è come sia stato possibile ciò che pare impossibile – Dio che si fa uomo –, il pensiero è al “sì” immediato e fiducioso di Maria che, nell’Annunciazione narrata dal Vangelo di Luca , «comprende l’evento inaudito che sta accadendo in lei». Al contrario di noi che, oggi, «se non vediamo, sentiamo, tocchiamo con le nostre mani un fatto, non crediamo, l’Angelo fa capire che la potenza dello Spirito di Dio può fecondare la carne umana senza violarla». Umanità, quella della Madre di Dio, che grazie alla sua povertà evangelica si fa fecondare dall’ascolto, «spalancandosi ad accogliere Colui che viene». Per questo, quella scelta non facile e coraggiosa di una povera giovane ragazza ha ancora tanto da insegnare.
«La figura di Maria e di Giuseppe debbono insegnarci a essere uomini e donne veri, che praticano ciò che Paolo raccomanda nella Lettera ai Filippesi: “siate lieti”. Il loro sacrificio non è stato di poco conto, la malattia che costa a voi e ai vostri cari, il sacrificio di Istituzioni come la Fondazione Don Gnocchi, che devono proporre un’accoglienza dignitosa fino all’abbraccio con il Padre, il dolore di molti non impedisce di dire, “siate sempre lieti”. Perché da qui consegue la pace nei nostri cuori, nelle Comunità cristiane, nella società, nel mondo così tragicamente provata anche attraverso l’offerta della vita di tanti uomini di religione».
E cita, allora, l’Arcivescovo ancora le parole paoline ai Filippesi: «Lo stile pieno di vita del cristianesimo è il nuovo umanesimo, per questo che noi vogliamo continuare a imparare da voi ospiti del Palazzolo l’offerta della vita, non temendo la morte perché Gesù ci ha mostrato per sempre che essa non è un cadere nel nulla, ma un essere accolti nelle braccia del Padre. Si fissi il nostro pensiero su questo Dio che si fa bambino».
Poi, il segno della pace portato personalmente dall’Arcivescovo a uno a uno dei malati impediti a muoversi, la comunione a tanti di loro, il saluto affettuoso a fine della Celebrazione, dopo che il direttore dell’Istituto aveva ricordato la volontà di proseguire sulla strada indicata dai beati Palazzolo e Gnocchi, «due geni del bene, due sacerdoti che hanno saputo superare le barriere del loro tempo comprendendo bisogni che non erano allora riconosciuti e accolti».
Quelle necessità che dagli orfani e malati abbandonati e soccorsi da don Palazzolo a metà Ottocento ai mutilatini e poliomielitici di don Gnocchi, arrivano fino all’oggi, mutate, ma sempre urgenti, sempre presenti. Lo si vede bene nella prolungata visita e benedizione che il Cardinale compie tra i diversi reparti, dove qualche anziano sta guardando la televisione, altri giocano a scopa – qui il saluto è semplice e allegro –, mentre i malti più in difficoltà, lo aspettano nelle stanze con i parenti. Si entra anche al Padiglione “Aquiloni” dedicato agli stati vegetativi: stringe il cuore vedere i ragazzi, molti vittime di incidenti stradali, qui si trova il più giovane ricoverato: ha solo 15 anni. Infine, l’ingresso dell’Arcivescovo nell’Hospice con i suoi dieci posti letto e che ha ospitato 104 pazienti nell’ultimo anno.
 

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