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Papa Francesco, una vita per la Chiesa

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Intervista

Santerini: «Francesco, un uomo in ricerca con il Vangelo in mano»

La docente della Cattolica, da lui nominata ai vertici del Pontificio Istituto teologico “Giovanni Paolo II per le scienze del matrimonio e della famiglia”: «Aveva una visione globale del mondo e ha creduto moltissimo nella cultura dell’incontro»

di Annamaria BRACCINI

6 Maggio 2025
Foto Vatican Media / Sir

«Un uomo del Vangelo, un evangelizzatore, un missionario, un uomo che ha creduto moltissimo nella cultura dell’incontro e che ha allargato lo sguardo della Chiesa a una fraternità veramente universale. Lascia un vuoto enorme e, per me, anche un profondo dispiacere personale, perché sentivo la veracità del Vangelo nelle sue parole e nella sua vita, nel modo di incontrare gli altri, tutti, nessuno escluso». Milena Santerini, del Centro di Ricerca sulle relazioni interculturali dell’Università cattolica e, con il marito, vicepreside del Pontificio Istituto teologico “Giovanni Paolo II per le scienze del matrimonio e della famiglia”, per volere di papa Francesco, ricorda così l’amato Pontefice scomparso.

Il Papa è stato anche un uomo talvolta incompreso e, comunque, spesso inascoltato nella sua incessante richiesta di pace. Addirittura accusato di essere «ideologico»…
Certamente. Aveva una visione del Vangelo come parola che può cambiare il mondo, all’interno di una visione precisa dell’attuale situazione come “globalizzazione dell’indifferenza”, per usare una delle sue espressioni più note e significative. In questo senso il suo era uno sguardo latinoamericano che potremmo dire nuovo per l’Europa, seppure debitore al nostro continente, che riusciva ad abbracciare, a capire e a incontrare persone e culture molto diverse, dall’Asia all’Africa, senza alcune chiusure. Si è accusato il Papa, a volte proprio a proposito di alcuni conflitti, di essere “di parte”, ma la sua sofferenza, invece, era per tutti e con tutti. Attraverso la vicinanza umana capiva anche i problemi e naturalmente soffriva per questi, per le distruzioni dell’ambiente, per quelle causate dalle guerre. Aveva una visione globale del mondo e vedeva, quindi, anche quanto il mondo riesca a distruggersi da solo.

Milena Santerini
Milena Santerini

Quindi la prospettiva di un umanesimo integrale, come ha scritto nella sua enciclica Laudato si’, forse, insieme a Fratelli tutti, la più nota del suo Pontificato…
Sì. Un modo di vedere e interpretare il mondo non immanentista (la sua non era una percezione, per esempio dell’ambiente alla New Age), ma nemmeno caratterizzato da una teologia calata dall’alto, per così dire, che potesse risolvere tutti i problemi del mondo. Direi che era un uomo in ricerca con il Vangelo in mano, un grande amore per gli altri che lo portava a vedere con acutezza le questioni aperte, più che da un punto di vista storico, da quello sociale. Pensiamo alle relazioni malate tra le persone che ha indicato con chiarezza e che il suo insegnamento intendeva sanare. Una visione comunque estremamente acuta, come ho già detto, assolutamente non ingenua o semplificatoria – come ha preteso qualcuno -, anche se usava un linguaggio molto semplice, suggestivo e immediato. Proprio il suo modo di comunicare, credo, che sia stata tra le sue caratteristiche più innovative e che resteranno nel tempo. Ha cambiato la modalità verbale di rivolgersi al mondo, perché lo vedeva in una logica inclusiva nella quale tutti dovevano essere in grado di comprendere le sue parole e il suo messaggio.

Ha qualche ricordo personale di incontro con il Santo Padre. Come era, visto da vicino?
L’ultima volta che lo abbiamo incontrato in udienza come comunità dell’Istituto Giovanni Paolo II mi ha molto colpito il suo insistere sull’importanza di vedere il mondo nel suo insieme e di come le diversità non devono diventare un ostacolo, ma un’occasione di comprensione e di crescita. Ci ha spinto a lavorare sulle differenze culturali anche nella Chiesa, sulle diverse concezioni della vita, della società, della famiglia e del lavoro per costruire una vera interculturalità, quella che non abbiamo ancora pienamente elaborato. A volte, infatti, conviviamo senza costruire veri orizzonti comuni. Credo che questa sia anche la cifra per capire a pieno la sua predicazione e fare sintesi del suo lavoro instancabile, dell’ottica sinodale che gli era carissima, dei suoi viaggi apostolici e dell’insieme dei processi che ha avviato. Ossia quella di una teologia non statica, ma dinamica, capace di un incontro tra persone e tra culture diverse. Un essere nella Chiesa e nel mondo che ha portato una grandissima novità, sulla cui strada dobbiamo proseguire.