Sentiranno lingue che non comprendono, incontreranno persone sconosciute, “diverse”. Ma dovranno comunque trovare un modo per entrare in relazione. Almeno, all’inizio, presentandosi per nome. E il nome è carico di significato per Casa Suraya, l’opera di Caritas ambrosiana per la prima accoglienza di donne e famiglie richiedenti asilo.
Suraya è infatti il nome della prima bambina nata a Milano da una coppia di migranti, arrivati durante l’emergenza dei profughi siriani del 2014. Lei e la sua famiglia sono poi ripartiti per il nord Europa, ma il nome è rimasto per questa casa messa a disposizione dalle Suore della Riparazione, che offre spazio a quasi cento persone: un modello studiato a livello europeo, dato che, in un sistema emergenziale abituato a offrire un’accoglienza separata a uomini e donne, questo è stato il primo centro a Milano in cui le famiglie potevano trovare ospitalità senza separarsi.
Qui lunedì 24 febbraio alle 19 arriveranno un centinaio di adolescenti, insieme a monsignor Delpini, per una nuova tappa del percorso «L’Arcivescovo vi invita»: la proposta organizzata insieme alla Fondazione oratori milanesi per scoprire quei luoghi dove si può imparare a compiere un piccolo gesto di misericordia, anche nelle situazioni che sembrano più difficili. «Ero straniero e mi avete accolto» è il tema della tappa di domani.

Gli ostacoli che gli adolescenti sperimenteranno al primo impatto sono messi sul tavolo chiaramente dallo stesso Arcivescovo, nella sua lettera ai ragazzi «Apprendisti di felicità – Insieme, pellegrini di speranza». «L’inerzia, la pigrizia, la diffidenza […] creano distanze e muri, si alimentano di notizie costruite e danno immagini deformate della realtà. Molti – constata monsignor Delpini – si fanno l’idea che i migranti siano solo disperati, sfruttati da tutti, che arrivano in modi pericolosi e illegali». Elementi con cui gli adolescenti dovranno confrontarsi già in modalità certamente adatte alla loro età. «Non faremo grandi discorsi sull’accoglienza, né ci soffermeremo su tutto il quadro socio-politico e normativo in cui è inserita anche Casa Suraya – chiarisce Sara Peroni, referente dell’area stranieri del consorzio di Caritas Farsi prossimo, che gestisce l’accoglienza -. Ma incontreranno persone che daranno loro il benvenuto in una lingua probabilmente incomprensibile».
Gli ospiti arrivano dal Sudamerica, dalla Nigeria, dal Nordafrica, dal Pakistan o dall’Uzbekistan. Così i ragazzi proveranno, probabilmente, anche un certo senso di spaesamento. Poi, restando negli spazi della casa, inizierà un piccolo viaggio, per ripercorrere nel breve tempo di una sera quello vissuto in prima persona dai migranti. Che insieme ai volontari e agli operatori racconteranno cosa significhi, nella loro diretta esperienza, essere stranieri ed essere accolti. In un viaggio che per queste famiglie non è ancora terminato, dato che nel quadro normativo Casa Suraya è un CAS (Centro di accoglienza straordinaria), dove i migranti permangono per il tempo – da alcuni mesi a oltre un anno – in cui viene esaminata la loro richiesta di asilo o protezione internazionale.

Certamente i ragazzi troveranno un modo per comunicare. E anche senza discorsi teorici coglieranno, sintetizza Peroni, che a essere decisivo è soprattutto il modo in cui scegliamo di approcciarci agli altri: «Possiamo non entrare in relazione, proprio a partire dal fatto che l’altro è diverso da me. Oppure possiamo lasciarci incontrare, mettendoci noi stessi in discussione». Un approccio che per Caritas significa per esempio mantenere in Casa Suraya, oltre all’assistenza sanitaria e all’insegnamento dell’italiano, anche un servizio sociale interno, nonostante l’aggiornamento del “decreto-Cutro” sull’immigrazione non preveda più, nei CAS, l’assistenza psicologica e legale per i migranti. «Crediamo fermamente che accogliere le persone significhi offrire loro la possibilità di costruire un progetto di vita – rimarca Peroni -. E questo lo si fa non semplicemente fornendo risposte ai bisogni primari, ma accompagnandole in un percorso verso l’autonomia; un percorso che significa anche comprendere cosa vuol dire essere cittadini: conoscere le leggi italiane, i doveri ma anche i diritti di cui si è titolari».
Una questione di educazione civica, si potrebbe dire, non distante dunque da quanto gli stessi adolescenti affrontano anche a scuola. Peroni sottolinea infatti un ultimo punto decisivo: «Le relazioni di cittadinanza – sottolinea – si costruiscono in relazione con il territorio, in una dimensione che potremmo definire di politica quotidiana». Lo scrive in altre parole lo stesso Arcivescovo: «I saggi e il popolo di Dio pensano alla società del futuro […]: la gente sensata riconosce in tutti le qualità e i limiti, le risorse e le povertà, e opera con determinazione perché ciascuno porti quello che può offrire e riceva quello di cui ha bisogno».








