Un’Assemblea che verrà ricordata, nella quale – come hanno scritto molti commentatori (forse con qualche esagerazione) – la base della Chiesa italiana è riuscita a farsi sentire, arrivando a un risultato dell’assise non facilmente prevedibile: la votazione del Documento finale rimandata per ulteriori approfondimenti al 25 ottobre.
Ma è davvero così? Susanna Poggioni, Ausiliaria diocesana, responsabile dell’Équipe sinodale diocesana e componente della delegazione ambrosiana alla Seconda Assemblea Sinodale delle Chiese in Italia, spiega: «Non so valutare altre assemblee di questo genere, perché quella appena conclusasi era la prima in cui bisognava valutare insieme il documento da consegnare alla Cei. In ogni caso, certamente, l’Assemblea in generale – non solo laici – hanno proposto osservazioni, mostrando come lo strumento finale fosse inadeguato a esprimere appieno il lavoro compiuto a livello preparatorio e di Chiese locali, e chiedendo dunque di poterlo modificare e migliorare, specie in alcuni passaggi significativi».
In quale gruppo ha lavorato?
Nel mio gruppo ero l’unica ambrosiana tra altri rappresentanti di tutte le Diocesi italiane – presbiteri, delegati diocesani, esponenti delle associazioni laicali – e ci siamo occupati della dimensione strutturale, ossia di come le strutture devono formarsi e diventare adeguate e propositive rispetto a una Chiesa che vuole essere sinodale. Anche perché, come dice il Vangelo, non si può mettere vino nuovo in otri vecchi. Nel gruppo – eravamo solo 5 donne su 34 componenti, si è vista la ricchezza, la diversità delle Diocesi da nord a sud. Si è lavorato anche in sottogruppi di 6-7 persone relativamente alle proposte di emendamento, arrivando, dopo aver confrontato i risultati, a una decisione comune condivisa da tutto il gruppo.

È stato un dibattito vivace quello che ha caratterizzato l’Assemblea?
Il momento più propriamente non tanto di dibattito, quanto di comunicazione da parte dei vari membri dell’Assemblea si è realizzato martedì 1 aprile. In quel contesto, a mio modo di vedere, vi è stata davvero parresìa – un parlare chiaro con molto rispetto reciproco -, dopo di che tutti abbiamo còlto subito l’estrema disponibilità della Presidenza ad ascoltare e a rimettere in discussione i programmi preventivati. Questo mi sembra un elemento cruciale. Nei gruppi, poi, si è davvero lavorato in sinergia, attraverso un dialogo e un confronto continui: non dimentichiamo che nei gruppi erano presenti 168 vescovi. Tanto è vero che, quando è stato il momento della votazione, la mattina del 3 aprile, ben 835 sono stati i voti a favore di un ripensamento del Documento, solo 12 i contrari e 7 gli astenuti. Quindi evidentemente anche i vescovi si sono espressi in tal senso, anche se molti giornali hanno trascurato di dirlo. Davvero è stata una decisione collegiale, espressione dell’intero popolo di Dio che rappresentavamo.
Insomma, un’esperienza sinodale a 360 gradi?
Sì, nella convinzione che se la “macchina” non è adeguata finirà sempre per riprodurre l’esistente, mentre deve essa stessa trasformarsi per dire la novità della sinodalità.




