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Intervista

Per una Chiesa che accoglie la fragilità

Nella Giornata internazionale delle persone con disabilità don Mauro Santoro, presidente della Consulta diocesana «O tutti o nessuno», racconta come la Chiesa ambrosiana favorisca partecipazione e relazioni autentiche, considerando la diversità come una ricchezza

di Stefania CECCHETTI

3 Dicembre 2025
l Giubileo diocesano delle persone con disabilità il 27 settembre 2025 in Duomo

La  Giornata internazionale delle persone con disabilità, che si celebra il 3 dicembre, è un’occasione per la società di interrogarsi sul tema della disabilità. Anche la Chiesa si sente interpellata sul suo modo di essere comunità, sul valore delle fragilità e sul cammino, non sempre facile, verso un’inclusione reale. Ne abbiamo parlato con don Mauro Santoro, presidente della Consulta diocesana «Comunità cristiana e disabilità – O tutti o nessuno».

Qual è il significato di questa giornata per la Chiesa cattolica?
Per noi è un invito ad ascoltare una sensibilità sociale che cresce. Non è l’occasione per creare eventi, ma per valutarci: come Chiesa, che cosa stiamo facendo per accogliere e valorizzare la disabilità? La Giornata ci chiede di domandarci che comunità vogliamo essere. Una comunità che si dimentica degli ultimi o una che riconosce il valore delle fragilità come risorsa? Non serve moltiplicare iniziative straordinarie: serve guardare con onestà il cammino quotidiano delle nostre parrocchie.

La Diocesi di Milano ha concretizzato questa attenzione creando la Consulta «Comunità cristiana e disabilità – O tutti o nessuno», che lei presiede. Qual è oggi il ruolo della Consulta?
Il compito della Consulta non è creare una sorta di “pastorale parallela”, ma lavorare dentro la pastorale ordinaria. Per questo negli ultimi anni sono cresciute in modo significativo le collaborazioni tra Consulta e Servizio per la catechesi, Caritas, Pastorale scolastica, Servizio diocesano per l’insegnamento della religione. Il nostro compito è aiutare questi ambiti pastorali ad assumere sempre di più uno sguardo davvero attento a tutti. L’inclusione non è un settore, è uno stile.

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Chi vi interpella e perché?
In questi ultimi anni abbiamo registrato un incremento costante di mail, telefonate, segnalazioni. Sono famiglie che chiedono aiuto per non sentirsi ai margini, catechisti che domandano strumenti, sacerdoti che non vogliono lasciare indietro nessuno. Il nostro primo lavoro è facilitare gli incontri: tra operatori e persone con disabilità, tra famiglie e comunità, tra oratori e gruppi che desiderano vivere esperienze estive inclusive. La disabilità non si comprende solo con le parole, ma condividendo tempo, spazi, relazioni. E la ricchezza che nasce da questi incontri è reciproca: i riscontri sono sempre molto positivi.

Avete anche una rete di “sentinelle” sul territorio. Di che cosa si tratta?
Il nostro mandato è quello della sensibilizzazione. Senza voler creare delle figure rigide di “referenti per la disabilità”, cerchiamo persone nelle parrocchie – educatori, genitori, operatori – che facciano da “sentinelle”, segnalandoci le buone pratiche già esistenti, perché non conosciamo tutto ciò che fiorisce nei territori. Ma chiediamo anche di farci sapere quando ci sono episodi di emarginazione o di esclusione, che possono capitare per tanti motivi, anche in buona fede. Sapere ci permette di accompagnare, formare, intervenire. L’obiettivo è aiutare ogni comunità a crescere nella capacità di accogliere.

Molte famiglie, però, non riescono nemmeno a “fare il primo passo”. Cosa direbbe loro?
Chiedo loro di avere coraggio. Capisco la fatica: tante volte si sono visti chiudere porte, non solo in parrocchia, ma nella vita. Ma oggi esiste una rete pronta ad ascoltare. La Consulta dà voce alle loro richieste e, allo stesso tempo, sostiene le comunità che temono di non essere preparate. L’importante è non irrigidirsi: quando avviene l’incontro, spesso le comunità scoprono una ricchezza inattesa. Le famiglie possono contattarci direttamente: i riferimenti sono sul sito della diocesi, nella sezione “disabilità”. Non è un percorso semplice, ma è un cammino possibile. E dobbiamo costruirlo insieme.