
Nelle giornate di lunedì 19 e martedì 20 maggio si è svolta la dodicesima Sessione del XII mandato (2021/2026) del Consiglio presbiterale, sul tema «Ministero presbiterale e cura del sacramento della Penitenza». Un argomento non certo semplice, ma, di fatto, appartenente a una delle questioni rilevanti del ministero e della stessa esperienza di Dio. Sullo sfondo stanno non solo le ricerche teologiche intraprese dopo il Concilio, ma anche la “crisi” attuale del sacramento e la rilettura della prassi, avviata da oltre cinquant’anni, dalla riforma del Rito.
Nell’introdurre il tema, proprio a partire dalla crisi del sacramento, l’Arcivescovo aveva evidenziato alcuni aspetti su cui era importante tornare a riflettere: «La scarsa frequenza dei fedeli alla confessione, la difficoltà nel riconoscere il valore della mediazione ecclesiale, la confusione tra peccato e semplice sbaglio e l’individualismo nella pratica del sacramento». Di qui sono emersi alcuni aspetti particolarmente meritevoli che hanno istruito la riflessione circa l’attuale stagione, cominciando dagli interventi preparatori di don Pierpaolo Caspani (sullo sviluppo della prassi penitenziale nella storia) e di monsignor Fausto Gilardi (circa la rilettura della figura del presbitero come ministro del sacramento).
La riflessione teologica
L’ultima istruzione del tema è stata offerta dalla densa riflessione teologica di monsignor Giuseppe Angelini. A partire dai ricordi della sua infanzia, quale primo insegnamento sul tema, ha affermato che «confessare per un bambino è un bisogno, prima che un dovere. Soltanto dicendo egli si appropria di ciò che vive». In tal modo «rappresentare la confessione come la manifestazione di ciò che sarebbe noto interiormente già da prima è una grossa incomprensione di essa». Il senso proprio della confessione è quello che emerge dalle parole del Salmo 31: «Tacevo e si logoravano le mie ossa; Ho detto: “Confesserò al Signore le mie colpe” e tu hai rimesso la malizia del mio peccato». Nella logica del Salmo che descrive la nostra esperienza, la colpa si manifesta, anzitutto, come un sentimento che «logora la nostra certezza interiore, l’originaria nostra certezza di noi stessi». Tutto questo è avvenuto dentro il profondo passaggio della stagione recente, tardo-moderna o post-moderna, «dalla visione morale alla visione clinica dell’uomo», in cui «di tutte le cose (e anche dell’umano) la scienza dice rimuovendo sistematicamente l’interrogativo a proposito del senso» e le uniche questioni considerate sono quelle relative al benessere, alla sostenibilità, al funzionamento e sulla funzionalità.
I lavori di gruppo
Su questo sfondo i lavori di gruppo si sono svolti lungo quattro direttrici: la conversione cristiana e il sacramento della Penitenza; la dimensione ecclesiale del sacramento della Penitenza; la celebrazione del sacramento (pentimento, assoluzione, riparazione); infine, il tema del sacramento della Penitenza e la vita spirituale del prete. Il dibattito che ne è venuto è stato intenso e franco, in un bel clima di fraternità, come sempre. Più difficile è stato trarre delle mozioni operative all’altezza del tenore del confronto. Varrebbe la pena continuare la discussione e insieme avviare qualche buona pratica per la vita delle comunità cristiane come delle fraternità decanali del clero.
Rimangono vive alcune domande, nate dall’ascolto e consegnate dall’Arcivescovo nella mattinata, come pure l’invito contenuto nella riflessione di Angelini. Avremmo bisogno da una parte della cura di «una relazione personale, cioè prolungata nel tempo», dall’altro «di una predicazione ecclesiastica che elaborasse una tipologia della vita cristiana aggiornata rispetto alle nuove forme della vita civile proprie della società complessa».