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Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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In Cattolica

«Martini, il pastore che era “avanti”»

L’autorevolezza, il legame con la Parola e la capacità di leggere i tempi della Chiesa e della società sono i tratti del Cardinale che l’Arcivescovo ha sottolineato nel suo intervento in un convegno ricco di testimonianze e relazioni qualificate

di Annamaria Braccini

10 Maggio 2022
Da sinistra: monsignor Pierangelo Sequeri, Franco Anelli, monsignor Mario Delpini, Giuseppe Sala, Andrea Riccardi e Agostino Giovagnoli

«La personalità autorevole, la fiducia nella parola parlata, la sensibilità per la contemporaneità che lo rendono punto di riferimento per i molti che si sentono interrogati rispetto al futuro che ci aspetta». Sono queste le tre caratteristiche peculiari del cardinale Carlo Maria Martini che l’Arcivescovo sottolinea nel giorno in cui, presso l’Università Cattolica, si fa memoria grata di questa grande figura della Chiesa e della società. A dieci anni dalla scomparsa (31 agosto 2012) e a venti da quando lasciò la guida della Diocesi (11 luglio 2002), l’Ateneo con il centro di ricerca World History e il Dipartimento di Storia, in collaborazione con il Consiglio delle Chiese Cristiane di Milano, ha promosso il convegno «Carlo Maria Martini: un vescovo e la sua città».

Molte le voci che hanno portato il loro contributo anche attraverso una tavola rotonda che ha seguito un primo momento di approfondite relazioni. Nell’Aula degli Atti accademici gremita hanno trovato posto figure di spicco della cultura, degli studi, della Chiesa, della comunità civile milanese e tanti studenti e persone che conobbero Martini. In prima fila, tra gli altri, due Vescovi, monsignor De Scalzi (primo segretario dell’arcivescovo Martini a Milano dal 1980) e monsignor Merisi, stretto collaboratore del Cardinale.

I saluti istituzionali

Aperto dal saluto del rettore Franco Anelli – che ha ricordato il legame tra la Cattolica e Martini, al quale nel 2002 venne conferita la laurea honoris causa in Scienza dell’Educazione -, l’incontro ha visto il successivo intervento del sindaco di Milano Giuseppe Sala: «I suoi insegnamenti, la sua azione di solidarietà, ci confortano ancora oggi. In un’epoca di sovracomunicazione c’è comunque qualcuno che si staglia e questo è stato Martini, un punto di riferimento la cui testimonianza rimane indimenticabile. Il disarmo attraverso la parola è stata una delle più grandi intuizioni del Cardinale che ha accelerato la conclusione degli “anni di piombo”». Il riferimento è al memorabile discorso tenuto da Martini in Consiglio comunale, a conclusione del suo episcopato, alla Gran Medaglia d’Oro conferitagli dal Comune e alla Casa della Carità, «uno dei luoghi che hanno reso Milano una città dei diritti, una città comunità», conclude Sala.

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Così anche per il gesuita padre Carlo Casalone, presidente della Fondazione Martini e per lo storico Agostino Giovagnoli, Martini segnò un tempo di trasformazione, sia nella Compagnia di Gesù – indicando quella “Chiesa in uscita” voluta da un altro gesuita, papa Francesco -, sia nel Paese. Nel giorno dedicato all’Europa e nel quale si ricordano le vittime del terrorismo (i partecipanti al convegno per questo osservano un minuto di silenzio), Giovagnoli richiama il termine-chiave per comprendere l’operato e il lascito martiniani, l’intermediazione: «Per Martini questa è la risposta ai conflitti, mettendosi quasi in mezzo fisicamente. Una scelta spirituale e un’indicazione concreta che vale per il credente e il non credente. I suoi percorsi sono un lungo cammino di purificazione, con al cuore la Parola di Dio. Non è un parlare di pace, ma è fare la pace».

L’intervento dell’Arcivescovo

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Da una domanda si avvia l’intervento dell’Arcivescovo: «Perché, a distanza di dieci anni dalla morte e di vent’anni dalle dimissioni come Arcivescovo di Milano, capita molto spesso che ci siano persone che argomentano così: “Come diceva il cardinale Martini…”»?

Tre le piste interpretative suggerite. «L’autorevolezza, che è l’esito di una circolarità in cui entrano in gioco le qualità della persona, la convergenza del consenso, il prestigio del ruolo. L’autorevolezza del cardinale Martini può essere compresa dentro questa dinamica, in cui interviene lo stesso ruolo che gli era stato affidato. L’essere stato mandato come Vescovo a Milano ha permesso che si rivelasse all’intera Chiesa italiana la sua personalità e ha consentito progressivamente l’attenzione del mondo intero su di lui. La scelta provvidenziale di Giovanni Paolo II di inviarlo a Milano ha contribuito a fare di Martini un punto di riferimento universalmente riconosciuto, chiamato in ogni parte del mondo a predicare, a insegnare, a incontrare. Forse si potrebbe anche ritenere che lo stesso Martini abbia voluto concentrare tutta la sua missione nell’intento preciso di voler richiamare la Chiesa di Milano e tutta la Chiesa a questo riferimento sostanziale alla Parola, giungendo addirittura a sognare una Chiesa tutta sottomessa alla Parola di Dio». (Leggi il testo integrale dell’intervento >>)

L’Arcivescovo durante il suo intervento

È in questo ambito che emergono due aspetti ulteriori: «Il primo attiene a una particolare fiducia accordata alla parola parlata, che si esprime più nella predicazione che nella pubblicazione, nella conversazione che nella celebrazione. Inoltre, una accentuazione del linguaggio dell’insegnamento. Ha infatti chiamato il suo modo di introdurre alla Scrittura “Scuola della Parola”, e “Cattedra dei non credenti” la convocazione di personalità della cultura contemporanea per un dialogo su alcuni temi e sfide del presente».

Infine, «l’attrattiva di essere “avanti”», come la definisce Delpini: «La autorevolezza e l’incisività della sua proposta pastorale trovano una particolare motivazione nella convinzione che Martini rappresentasse una attitudine “progressista”, aperta verso le problematiche contemporanee. Il presupposto è che invece nella Chiesa di quegli anni ci fossero delle attitudini più “conservatrici” e comunque più chiuse. Secondo queste visioni approssimative, Martini finisce per essere progressista e Giovanni Paolo II conservatore, Milano “avanti” e Roma “indietro”, Martini aperto e Benedetto XVI chiuso… Sono semplificazioni ideologiche e banalizzazioni, ma rimane il compito di capire in che senso Martini è “avanti”». Fu avanti per «la sua sinodalità come metodo e come pratica, basti pensare al Sinodo 47esimo, per la lettura di Milano come città plurale, multi-etnica, multi-religiosa, multi-culturale e per l’attenzione prioritaria riservata alla singola persona e alla sua conversione».

Lo storico Riccardi e il teologo Sequeri

Lo storico Andrea Riccardi

Molto interessante la ricostruzione della personalità martiniana e della sua evoluzione nel tempo, offerta da Andrea Riccardi, storico e anima della Comunità di Sant’Egidio, che frequentò il Cardinale in diversi periodi, a partire dalla metà degli anni Settanta: «Chi ha conosciuto padre Carlo prima della nomina a Milano ricorda uno studioso timido e schivo, con la Bibbia nel cuore e un forte autocontrollo. La sua è una storia di familiarità con la Scrittura, ma anche di crisi e, come disse, di notti oscure. Martini, anche grazie alla conoscenza di Sant’Egidio, si coinvolse poi progressivamente con la realtà delle periferie. Qui vidi un Martini diverso, che stava apprendendo la dimensione della città, curioso, desideroso di conoscere e di ascoltare. Quando venne a Milano era carico di interrogativi, ma non spaventato, convinto di dover ascoltare tutti, perché da tutti poteva trarre qualcosa. Il suo presunto progressismo derivava solo dall’essere profondamente radicato in un cristianesimo incarnato nella storia. Pensava biblicamente e così agiva: questo lo faceva un uomo libero. Ha amato molto Milano, di cui notava limiti e opportunità. È stato un grande vescovo, mai provinciale, convinto che Dio abita la città, un leader spirituale, una personalità rara».

«Un cercatore di Dio», che credeva – come ha spiegato monsignor Pierangelo Sequeri, teologo e già preside dell’Istituto Giovanni Paolo II – «in una teologia che svolge il suo compito essenzialmente se aiuta il credente a pensare e tutti a pensare tout court, secondo un canone biblico è che lingua materna dell’umano».