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Milano

Lavoro di cura, patto tra terzo settore, istituzioni e università contro la crisi

Un “manifesto” elaborato da cinque realtà al centro del convegno svoltosi presso la Caritas Ambrosiana

5 Luglio 2022
L'intervento di Luciano Gualzetti

Il riconoscimento della funzione pubblica del lavoro di cura svolto dal terzo settore, la valorizzazione culturale ed economica della alta professionalità degli educatori e operatori della cura, il ripensamento dei percorsi formativi universitari per queste professioni, un serio e strutturale investimento di risorse economiche sul settore. Sono, in sintesi, i pilastri necessari per ricostruire il settore della cura, le richieste che le realtà del terzo settore lombardo fanno a gran voce alle istituzioni, per affrontare una situazione che sta diventando sempre più un’emergenza: la carenza strutturale di educatori e di professionisti del welfare. Una carenza che incide pesantemente sulle persone e famiglie più fragili e sulle comunità locali.

I numeri sono frammentari, ma danno l’idea della dimensione del problema: solo negli ultimi mesi, in Lombardia, sono state chiuse sette comunità per minori. Nelle case d’accoglienza mamma e bambino, si rischia di perdere circa 500 posti. La mancanza di educatori tocca molti servizi del welfare: dalle comunità che ospitano ragazzi provenienti dal circuito penale, a quelle che si prendono cura di giovanissimi con fragilità psichiche, dalle accoglienze per minori stranieri non accompagnati alle educative scolastiche, così importanti per affiancare bambini con disabilità o bisogni educativi speciali.

Il manifesto è stato elaborato da cinque soggetti del terzo settore milanese e lombardo (Forum del Terzo settore, Caritas Ambrosiana, Cnca, Alleanza delle Cooperative Italiane Welfare Lombardia, Uneba), che si sono riuniti oggi nella sede della Caritas Ambrosiana, in via San Bernardino a Milano, per affrontare unitariamente il tema e affidare le proprie proposte a istituzioni, mondo accademico, organizzazioni sindacali e opinione pubblica.

Un momento del convegno

Una narrazione diversa

Il lavoro di cura è oggi mortificato: perché ritenuto solo un’appendice, nemmeno necessaria, del settore sanitario, per la carenza di investimenti economici. Non ne viene riconosciuta la professionalità ed è malpagato. E spesso è svalutato e raccontato dai media con molti pregiudizi.

E invece le professioni di cura, in particolar modo il lavoro in ambito socio-educativo, svolgono una fondamentale “funzione pubblica” di tutela dei diritti dei cittadini, in primis le fasce più fragili. Occorre riconoscerlo e riaffermarlo con vigore.

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Il cambio della relazione tra terzo settore e Pa

Riconoscere la funzione pubblica del lavoro di cura significa che il terzo settore non può essere solo esecutore di prestazioni stabilite con bandi al “massimo ribasso”, e inoltre il lavoro di cura non può essere completamente delegato al terzo settore. Si chiede che la co-progettazione sia reale e concreta.

Il riconoscimento della professionalità degli operatori

Il lavoro di cura è sempre più complesso, chiede di saper affrontare situazioni di vulnerabilità grave, il disagio psichico vissuto dagli adolescenti nelle comunità, le difficoltà connesse ai percorsi migratori… È faticoso, richiede turni e orari lavorativi sempre più impegnativi. Dall’altro lato, è uno dei lavori meno riconosciuti economicamente: gli stipendi sono bassi, irrispettosi della competenza e della qualità professionale e della responsabilità richiesta. Bisogna allora ripensare ai contratti di lavoro, perché corrispondano al valore reale di queste professioni nel garantire il bene comune e la tutela dei diritti garantendone la sostenibilità.

Contemporaneamente, non sempre i percorsi formativi riescono a coniugare a sufficienza la preparazione teorica con la pratica lavorativa: è necessario anche ripensare ai curricula formativi tra università e rappresentanti del mondo del lavoro.

I presenti alla mattinata
I presenti alla mattinata

Investimento di risorse economiche

Garantire stipendi adeguati significa garantirne la sostenibilità da parte degli enti gestori, che in gran parte sono cooperative sociali rette da soci-lavoratori. Non è possibile sostenere il costo di retribuzioni più giuste da una parte, e servizi di qualità, un “buon lavoro”, agli utenti dall’altro, se le entrate della comunità si basano su rette e bandi al massimo ribasso, dove non vengono riconosciuti quei costi indiretti, che pure fanno la qualità del servizio.

Si richiede agli enti locali una maggior capacità di alzare la voce e di essere capaci, insieme, di pretendere maggiori risorse e investimenti da parte dello Stato.

Un nuovo patto

È fondamentale creare un nuovo patto tra terzo settore, organizzazioni sindacali, associazioni professionali, università per individuare strategie e azioni e lavorare insieme a obiettivi politici condivisi, per ridare valore al lavoro di cura. I promotori si impegnano a condividere piattaforme rivendicative unitarie, chiare, coerenti su cui convergere tutti, che siano capaci di connettere e valorizzare le reti a livello nazionale, regionale, locale.

 

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