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Lisbona/9

L’Arcivescovo: «Facciamo risuonare il Magnificat, il canto della speranza che può salvare l’Europa»

Nella terza giornata della Gmg, dedicata alle celebrazioni penitenziali, monsignor Delpini ha incontrato i tanti ragazzi ambrosiani ospitati a Barcarena, sobborgo di Lisbona, confessando e celebrando l'Eucarestia

di Annamaria BRACCINIda Lisbona

4 Agosto 2023
Mons. Delpini insieme ad alcuni giovani della GMG

«Il mio sogno? Essere dentro un popolo che cammina cantando il Magnificat, un popolo contento anche se dorme per terra». È semplice e, insieme fulminante, la definizione che l’Arcivescovo usa per rispondere a una delle domande che aprono il dialogo tra lui e i tanti ragazzi ambrosiani ospitati a Barcarena dove rimane l’intera mattina, nella giornata dedicata alla penitenza.

Nel sobborgo, simile a tanti piccoli paesini del nostro meridione, va in scena una sorta di Gmg in miniatura, con tutti i simboli della Giornata, ma soprattutto con la voglia di stare insieme, di parlarsi, comprendersi, accogliersi. Così come ha fatto la piccola comunità alle porte di Lisbona, che ha aperto le porte delle case, di ogni spazio disponibile, delle scuole, mobilitando famiglie intere, e anche i sacerdoti locali, il parroco don Raimondo e il diacono Carlos, accanto al vescovo Mario nella celebrazione eucaristica che segue quella penitenziale. Un momento, quest’ultimo, che l’Arcivescovo definisce «non forse tra i più clamorosi della Gmg, ma di profonda intensità».   Secondo quanto testimonia la storia di Margherita, una sorta di ‘confessio laudis’, per usare un’espressione del vescovo Mario, che racconta la rinascita dopo un periodo di buio e di disorientamento seguito a una permanenza all’estero con il programma Erasmus. Oggi Margherita vive a Milano e dal suo sorriso si capisce subito che l’incontro con il Signore le ha cambiato la vita, in un «attimo».

L’arrivo in processione della semplice croce ambrosiana realizzata appositamente per la Gmg, è come il simbolo per tutti di un guardare al Signore con la stessa sincerità e fiducia, facendo «in modo  giusto un esame di coscienza». 

Riconciliarsi ascoltando la Parola del Signore

In contemporanea con diversi luoghi di Lisbona, tra cui il parco Vasco da Gama a Belem, dove lo stesso Papa confessa dei giovani, come fanno altrove centinaia di sacerdoti di ogni parte del mondo, anche nella piccola Barcarena si parla di confessione e del modo «sbagliato di viverla», come dice il vescovo Mario, quando, ad esempio, «ci si guarda addosso non sentendoci all’altezza, non piacendoci, quasi avvicinandosi al prete o, direttamente al Signore, per chiedere scusa».

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Al contrario, si può fare realmente l’esame di coscienza quando si incontra Gesù, si ascolta la sua Parola. «Forse ci manca una relazione reale con Gesù che ci ama così come siamo, con i nostri peccati, che ci chiama per nome, come ha detto il Papa. Gesù chiama, corregge, entra a portare la sua luce nella stanza segreta di cui ci vergogniamo.  Una camera che può essere aperta e illuminata perché Lui continua a bussare  anche se noi continuiamo a dire di non entrare». Come a dire che la confessione «non deve essere un’ossessione di autoaccusa», ma un sincero riconoscimento dei propri peccati che riconcilia con Dio, con sé, con gli altri. Non a caso, l’altro nome di tale sacramento è riconciliazione. 

Poi, dopo oltre mezz’ora nella quale i giovani hanno fatto la fila dai sacerdoti presenti – una quarantina -, appunto, per confessarsi, la Messa, presieduta dall’Arcivescovo, ha cantato davvero il Magnificat, in una riflessione centrata sul brano evangelico di Luca al primo capitolo (leggi qui l’omelia). 

Cantare il Magnificat della speranza

«Quale è la tua canzone? Forse il canto patetico degli affetti confusi, degli amori provvisori? Perché non hai voglia di cantare? Che cosa c’è nel groviglio dei pensieri, degli affetti, dei sospetti che impedisce di dar voce a un canto lieto? Quale è la tua canzone? Forse il lamento, forse la protesta, l’irrisione? Forse il gridare più forte, l’amplificazione più assordante, per non sentire altro, per non pensare altro?», chiede monsignor Delpini.

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Eppure c’è un canto antico – suggerisce – che risuona di gioia da oltre 2000 anni, il Magnificat, che è sempre giovane, che «può salvare l’Europa, se sarà il cantico dei salvati, quelli che hanno visto le opere di Dio, che si sono commossi per la misericordia inesauribile che sa perdonare, perdonare sempre, perdonare tutti, perdonare e far risorgere a una vita nuova».

Ma come cantare in questo mondo «desolato, dal presente deprimente e dal futuro angosciante, dove i potenti, i ricchi, i superbi dominano il mondo e schiacciano i poveri, gli umili, gli indifesi? Come possiamo cantare se avvertiamo che l’ingiustizia è troppo più aggressiva, spietata, potente di quello che noi possiamo fare per aggiustare il mondo? Come possiamo cantare se la storia ci racconta che ogni ribellione contro l’opprimente ingiustizia ha prodotto una condizione peggiore di prima?».

Una sola la risposta, nella sua semplicità evangelica pericolosamente rivoluzionaria o, peggio considerata oggi folle: «Non rispondendo alla violenza con la violenza, all’ingiustizia con l’ingiustizia, alla guerra con la guerra, ma piuttosto vincendo il male con il bene, scuotendo quel senso di impotenza che paralizzata tante buone intenzioni». 

Infine, ancora festa con il ringraziamento alla città e ai volontari portoghesi e il canto corale dell’Inno della Giornata.

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