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Milano

Segre, Delpini e un futuro da costruire con amore

Responsabilità e passione educativa: è ciò che serve alla società secondo la Senatrice a vita e l'Arcivescovo, protagonisti di un dibattito nella parrocchia di San Pietro in Sala

di Annamaria Braccini

3 Dicembre 2022
La senatrice Segre e l'Arcivescovo all'inizio della serata

«Io, che ho visto l’odio in tutte le sue forme, sono una paladina dell’amore. Essere diventata mamma e poi nonna è stata una delle cose più belle del mondo: sono loro, i miei tre nipoti, che mi danno la forza di non essere pessimista. Non ho potuto più tacere, come avevo fatto per 45 anni, perché quelle nuove vite mi chiedevano di non parlare mai di odio e di vendetta, ma di amore».

Nella grande chiesa di San Pietro in Sala, dove arriva gente di tutte le età, tra cui tanti giovani e bambini che siedono semplicemente a terra, le parole della senatrice a vita Liliana Segre, in dialogo con l’Arcivescovo, sono un inno alla speranza per quel domani migliore che si costruisce con una paziente opera educativa in famiglia, a scuola, nella società.

Liliana Segre
La senatrice Liliana Segre

La passione di educare

D’altra parte non potrebbe essere altrimenti, considerando che l’incontro – promosso nell’ambito del ciclo «Fare cultura genera il benessere della persona» dalla Scuola dei Genitori, attiva da anni in parrocchia, e dall’Associazione I Semprevivi – si intitola «Dall’emergenza educativa alla passione di educare». Come spiega don Domenico Storri, parroco e fondatore de I Semprevivi, che si occupa di disagio mentale: «La nostra comunità ha deciso di strutturarsi meglio costituendo un Centro di formazione rivolto a genitori, insegnanti, operatori sanitari e sociali, e proponendo incontri e corsi capaci di toccare non solo aspetti tecnici dell’educare, ma anche quei temi che possono andare a riscoprire il significato di ogni azione rivolta ai giovani o a chi soffre. Pensiamo che la possibilità di offrire una formazione accreditata possa raggiungere anche chi di solito non frequenta i nostri ambienti». Da qui la scelta di invitare per la serata l’Arcivescovo, «il primo educatore della Chiesa ambrosiana e lei, carissima senatrice Liliana, perché non volevamo sentire una professionista, ma una persona innamorata della vita».

Si avvia così il dialogo – a cui assiste in prima fila, come ascoltatore e parrocchiano, Mario Monti, già Presidente del Consiglio e anch’egli Senatore a vita -, moderato da Maurizio Ambrosini, sociologo dell’Università degli Studi di Milano, che cita don Lorenzo Milani, icona di riferimento della serata. La prima parola, su cui è chiamato a intervenire l’Arcivescovo, è la responsabilità.

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La responsabilità degli adulti

«Sono allergico alle generalizzazioni. Quando si parla di emergenza educativa, pur avendo utilizzato anch’io questo termine nel senso di un’emergenza spirituale, non penso a una categoria che vale per tutti, perché ciascuno di noi è unico e l’educatore è colui che chiama per nome coloro ai quali rivolge la sua opera, sentendo una responsabilità personale verso ognuno. Conosco giovani meravigliosi, ma anche apatici o aggressivi: per questo le generalizzazioni non servono, per loro come per le famiglie», chiarisce subito monsignor Delpini. «Per primi sono i genitori che non generalizzano, ma considerano i figli uno per uno». Così come fece don Milani, prete colto di origine ebraica che, nello sperduto e poverissimo paese di Barbiana, nel Mugello di alta montagna, fondò una scuola «guardando in faccia i suoi ragazzi impauriti».

Delpini Segre
Un momento del dibattito

Poi una seconda osservazione: «Mi pare che nella comunità adulta si respiri, oggi, un clima deprimente, perché uno dei linguaggi più usati è il lamento su tutto quello che accade. È un grande ostacolo all’educazione, perché educare vuole dire aiutare a diventare grandi; ma se gli adulti sono così lamentosi e malcontenti, come possono i ragazzi di oggi considerare promettente diventare adulti? Il tema drammatico è che il futuro è immaginato come una minaccia, per questo non dà futuro. Un ragazzo si mette a correre, se ha una meta desiderabile, un futuro che merita di essere vissuto. Ora, invece, c’è qualcosa di fumoso, di fronte al quale si rimane come paralizzati. Certo, abbiamo tempi difficili, ma abbiamo anche una terra promessa. La speranza che viene da Dio, e che è affidabile, non è accontentarsi. Il futuro è una responsabilità perché sarà come lo faremo. Per questo dobbiamo dire ai giovani di giocare i loro talenti. Siamo in cammino verso la terra promessa, non come una massa, ma come gente amata da Dio. Questo è il tema della vocazione: nessuno è soltanto un numero e ciò ci autorizza ad avere stima di noi».

L’amore che vince l’odio

Concordando sull’inutilità delle generalizzazioni e sul lamento diffuso, la Senatrice ricorda le figure del cardinale Carlo Maria Martini – che «molti anni fa ebbe l’intuizione della Cattedra dei non Credenti» – e del rabbino Giuseppe Laras, «che nutriva la speranza che l’amicizia ebraico-cristiana potesse incontrare tante persone».

«Da loro – confida – cercavo un consiglio perché il silenzio, che mi angosciava in quegli anni e fin dalla prima gioventù, potesse trovare un aiuto. Ora non ho paura di dire che sono una sopravvissuta e quel peso di essere così diversa dalle mie coetanee per quello che avevo visto e sentito come odori, parole, visioni che potevano sopraffarmi, è stato vinto dall’amore».

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Il richiamo è all’esperienza, appunto, di madre e soprattutto di nonna «che, a 60 anni, mi ha fatto parlare del passato, diventando testimone. Ogni volta ho sperato che i ragazzi capissero che bisogna andare avanti nella vita facendo il proprio dovere, senza mai seminare odio, perché non c’è odio che possa essere rispettato», nemmeno verso «chi è bullo, chi prende il posto di un disabile, chi arriva cercando la salvezza dalla morte e viene respinto, cosa che ho provato», suggerisce Segre, che recita la poesia L’Odio della polacca Wislawa Szymborska. «I lamentosi non si lamentano mai per l’odio, questo è incredibile di questi tempi: in Senato ho usato la parola mitezza, che auspico anche per i nostri governanti. Occorrerebbe insegnare a tutti la lettura dell’articolo 3 della Costituzione», continua.

Ma quale è il compito di chi educa, dei genitori, degli insegnanti? Chiarissima la risposta: «Il nostro doppio, il telefonino, può essere come un virus: è l’esempio di un’incomunicabilità che, talvolta, impedisce che il figlio si senta amato e ciò può essere la chiave della felicità o dell’infelicità di tutta la sua vita futura. L’esempio, l’unione familiare sono insegnamenti enormi. Alla base ci deve sempre essere l’amore, che può essere dato in mille modi e con cui si risolve il 99% di ciò che accade», scandisce la Senatrice, mentre scatta un applauso fragoroso.

La parola torna all’Arcivescovo al quale Ambrosini chiede come valuti la capacità educativa della Chiesa milanese e cosa potrebbe insegnare oggi don Milani.

Delpini Segre
Il pubblico intervenuto in San Pietro in Sala

Il contributo della Chiesa ambrosiana

«Don Milani era un prete che aveva la certezza che le donne e gli uomini diventano persone libere se sanno parlare. Nella mia vita – riflette monsignor Delpini – ho studiato le parole, ho insegnato e vorrei ricordare che don Milani ci ha indicato di non ridurre tutto alle emozioni. La parola è dare un nome alle cose, una disciplina. Credo che la violenza, anche verbale, che domina oggi possa essere contrastata dal dare il giusto nome alle cose. La parola è sacra, è come un percorso di liberazione».

Il pensiero va alla nostra Chiesa, che «si caratterizza per la sua capillarità nel territorio: questo è il primo contributo che possiamo dare, essendo a servizio con tante attività in modo vicendevole, ma bisogna chiedersi perché lo facciamo – avverte -. Mi sembra che oggi molti cristiani sono timidi nel dire ciò in cui credono. Milano ci ha insegnato la libertà della parola e il perché una porta aperta come cristiani è disponibilità a un servizio che facciamo perché crediamo nel Signore».  

«Educare – conclude l’Arcivescovo – credo che non sia soltanto una forma di volontarismo, un dovere, ma una passione che diventa tale se chi educa sente di avere qualcosa di prezioso da dire e da dare con quella stima di sé che deriva dall’esperienza della vita, dalle prove superate, dal cammino compiuto. Passione educativa è anche fare rete, non essere isolati. Per questo i genitori che condividono alcuni valori, devono parlarsi, stare insieme, con un coinvolgimento personale. In questo senso La Scuola dei Genitori è un cammino per comprendere come sia affascinante preparare il futuro dell’umanità prendendosi cura dei singoli».

Magari non dimenticando mai «I Care, Ho a cuore» che don Milani – di cui ricorre nel 2023 il centenario della nascita – fece scrivere sul muro scrostato della stanza dove faceva scuola. Il contrario del «Me ne frego» della dittatura fascista, i cui tragici esiti la Senatrice a vita fu costretta a vivere appena quattordicenne.

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