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Armida Barelli è beata

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La lezione

La “rivoluzione femminile” di Armida

La prossima Beata era animata dalla convinzione che le donne potessero dire e fare e molto in tempi di profondi cambiamenti politici, sociali ed ecclesiali

di Maria Teresa Antognazza

20 Marzo 2022
Armida Barelli

Conoscere da vicino Armida Barelli consente di riflettere su una “rivoluzione femminile” ancora da portare a compimento. La sua grande “lezione” è racchiusa nella fiducia riposta nel valore che le donne, ragazze e giovani in particolare, rappresentano in un tempo di profondo cambiamento politico, sociale ed ecclesiale, come è anche quello odierno.

«Noi donne siamo una forza»

Nel 1923 Armida scriveva alle donne: «Avanti insieme per Gesù nella bella, grande famiglia cristiana […] tutte insieme, professoresse e analfabete, aristocratiche e contadine, studenti e operaie, maestre e impiegate, casalinghe e artigiane» perché – ribadiva alla vigilia del primo voto femminile – «siamo una forza, in Italia, noi donne». Una convinzione concreta, che portò la Barelli a percorrere in treno l’Italia, fin dal 1919, per promuovere una valorizzazione femminile che incise nel contesto sociale e – dicono i Vescovi italiani nel messaggio per la prossima Giornata dell’Università Cattolica – fu all’origine «di un cattolicesimo inclusivo, accogliente e universale».

Non solo slogan

Il suo metodo di lavoro – di “apostolato” certamente, ma anche di promozione sociale di quella che all’epoca era una “categoria” invisibile, relegata in modo pressoché esclusivo fra le pareti domestiche – non si accontentava di slogan ed esortazioni, per quanto efficaci. Affinché le giovani potessero effettivamente incidere nella Chiesa e nella società, la Barelli di dedicò alla loro formazione e istruzione. «Essere per agire», «istruirsi per istruire», «santificarsi per santificare» erano le parole d’ordine che venivamo proposte alle giovani e che si concretizzavano in iniziative significative.

La formazione sociale

Il primo “corso di propaganda” (il nome che allora avevano i percorsi formativi), che nel 1919 chiamò a raccolta nell’Arcivescovado di Milano le giovani donne cattoliche, ebbe a tema la “questione sociale”: non un corso di “economia domestica”, come era abituale proporre alle ragazze in età da marito, ma una preparazione seria sui temi scottanti del tempo. La Barelli insegnava a stare davanti alle autorità, civili e religiose, con dignità, vincendo timidezze e senso di inferiorità, a parlare in pubblico «senza niente leggere e niente imparare a memoria, convinte per convincere». Uno stile incarnato da lei per prima, sempre conciliante ma mai arrendevole.

Un nuovo modo di essere Chiesa

Scriveva Maria Dutto, ripercorrendo nel 2002 la figura della fondatrice della Gioventù Femminile: «Le giovani capiscono e abbracciano con slancio la novità di vita proposta: imparano a leggere per seguire quanto la Barelli scrive loro e per studiare sui testi che l’Associazione propone; scelgono, sull’esempio della Barelli, vocazioni diverse da quelle seguite a quel tempo; partono la domenica, a piedi, in bicicletta, in treno per raggiungere città e paesi, per incontrare altre giovani desiderose di conoscere le nuove prospettive che la GF offriva. Vivono una vita di fede, non più soltanto di devozioni, nutrendosi di letture impegnative e fondanti». E concludeva: «È una rivoluzione pacifica che troverà le donne disposte, nell’immediato dopoguerra, ai compiti sociali e politici a cui verranno chiamate. Per migliaia e migliaia di giovani donne stare a contatto con la Barelli ha rappresentato un nuovo modo di essere Chiesa, una maniera diversa di vivere la vita cristiana, in tutta la sua esigente pienezza, fino all’eroismo, fino alla santità».

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