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Intervista

«La preghiera in clausura è la nostra vocazione a partecipare alla vita del mondo»

Suor Maristella, priora delle Benedettine dell’Adorazione perpetua del SS. Sacramento di Milano: «Stando vicine al Signore diventiamo un “canale” anche per gli altri». Come la pandemia ha cambiato le giornate nel monastero? «Abbiamo dovuto sospendere l’ospitalità, ma manteniamo i rapporti via telefono e mail. Riceviamo richieste di conforto, rassicurazione e aiuto spirituale»

di Luisa BOVE

18 Aprile 2021
Suor Maristella dell'Annunciazione

Si celebra domenica 25 aprile la 58esima Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni. E proprio la preghiera è al centro di comunità che vivono nascoste nella Milano degli affari, del traffico e del caos, dedicando la vita al Signore. Una fra tutte è quella delle Benedettine dell’Adorazione perpetua del SS. Sacramento di via Felice Bellotti: la piccola comunità, guidata dalla priora suor Maristella, conta 12 monache di clausura di età compresa tra i 27 e gli 89 anni, oltre a un’aspirante che non è ancora entrata, ma si sta avvicinando alla vocazione attraverso un cammino di discernimento.

Cosa significa vivere la clausura in una città come Milano?
Per noi vuol dire partecipare con il cuore, e soprattutto con la preghiera, alla vita del mondo che ci circonda, non immergendoci direttamente nelle battaglie, sofferenze e lotte delle persone intorno a noi, ma passando attraverso questa via sotterranea. Abbiamo tantissimi contatti con il mondo esterno, siamo molto accessibili e le persone vengono a chiederci preghiere, a confidarsi e a raccontarsi. Ora, a causa del Covid e del distanziamento per la pandemia, inviano mail: riceviamo moltissimi messaggi in posta elettronica di persone che chiedono un aiuto spirituale. E poi arrivano anche tante telefonate.

Che cosa attira ancora oggi le giovani a una scelta così particolare?
La preghiera. Il fatto che sia una vita donata gratuitamente al Signore e all’umanità attraverso qualcosa di invisibile e di cui non ci sono riscontri immediati, è qualcosa che sfugge alla vista, ma di cui si percepisce l’intensità a livello interiore. Direi soprattutto in termini di gioia, pace e serenità diffusiva. Ci rendiamo conto che tante persone vengono al monastero attratte proprio dall’atmosfera di pace che il Signore dona a chi sta con Lui. Quanto più noi gli stiamo vicino, tanto più diventiamo anche dei canali, è un’esperienza da vivere, perché non si capisce col ragionamento, non si spiega razionalmente o con una serie di sillogismi. E poi c’è di mezzo anche la chiamata: il Signore chiama alcuni a vivere questo tipo di vita, altri a una vocazione diversa.

In questo tempo di emergenza sanitaria sono cambiate le richieste di preghiera?
Molte persone sono disorientate, affaticate spiritualmente. Soprattutto l’anno scorso, quando era appena scoppiata la pandemia, avevano paura che il Covid fosse un castigo di Dio, quindi chiedevano la rassicurazione da parte nostra che Dio non si fosse stancato dell’umanità. Alcuni facevano anche fatica a pregare e ci chiamavano: «Voi che pregate tutti i giorni non pensate che Dio si sia stancato di noi, perché siamo peccatori e quindi ci sta punendo?». Avevano bisogno di conforto e della conferma che Dio fosse davvero amore.

Come invece voi state vivendo questo periodo? Per voi il lockdown è una scelta di vita…
Noi viviamo sempre in clausura, ma la grande differenza è che abbiamo dovuto sospendere l’ospitalità, prima molto viva. Non possiamo più ospitare, anche perché le norme sanitario sono molto rigide: ora non abbiamo più quel via-vai di persone che venivano anche solo per condividere una giornata di preghiera. Quando la situazione sarà più tranquilla e saremo tutti vaccinati, speriamo di tornare alla normalità. Adesso apriamo la chiesa in certi orari, quindi le persone possono venire a pregare con noi.

I confini del vostro monastero si allargano anche al mondo?
Sì. Siamo in amicizia con i missionari, una vocazione totalmente diversa dalla nostra, ma molto complementare. Ci chiedono di accompagnarli con la preghiera, abbiamo amici a Cuba, Perù, Congo, Guinea Bissau e Bangladesh, siamo in contatto con loro, soprattutto attraverso la posta elettronica. Quando tornano in Italia (adesso è tutto bloccato) vengono spesso a trovarci e a raccontarci quello che fanno in missione. Questo dà anche a noi uno slancio di apertura al mondo: non andiamo fisicamente, ma accompagniamo spiritualmente chi è là.

Nell’era della comunicazione quanto vi aiutano internet e i social, anche per far conoscere la vostra vocazione?
I social li usiamo con molta moderazione, anche se sappiamo che in questo momento è necessario: cerchiamo di essere discrete, per cui non abbiamo Facebook, ma utilizziamo soprattutto la posta elettronica. Abbiamo un sito internet (www.benedettineadorazione-mi.it) e carichiamo sul canale YouTube del nostro monastero commenti al Vangelo o alla Regola di san Benedetto, oppure testimonianze sulla vita di preghiera. L’idea è arrivata dai nostri amici durante il lockdown: siccome non potevano più venire in chiesa a pregare con noi, ci hanno chiesto di registrare e condividere quello che facevamo per rimanere in contatto. E così, timidamente, abbiamo accettato.

 

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