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Emergenza

La Caritas in soccorso all’Ucraina tormentata

Nel Paese sull’orlo di una guerra con la Russia, sfollati e categorie fragili sono tra i beneficiari degli aiuti predisposti dalla rete dell’organismo caritativo, ai quali ha contribuito anche Caritas ambrosiana

di Paolo BRIVIO

20 Febbraio 2022
Foto Caritas Internationalis

Tra timori di invasioni e annunci di ripiegamenti, minacce di sanzioni e spiragli di dialogo, la crisi russo-ucraina tiene il mondo con il fiato sospeso.

Ansia e speranza

Tra quanti sperimentano maggiore ansia per un possibile conflitto, o un auspicabile accordo, ci sono i milioni di emigrati ucraini. Molti dei quali (precisamente 228 mila a fine 2020, ovvero il 4,5% del totale degli immigrati) risiedono in Italia, dove rappresentano la quinta comunità straniera per numero di residenti, concentrata soprattutto in Lombardia e Campania (insieme, le due regioni annoverano il 41% delle presenze).

La comunità in Italia

La comunità ucraina in Italia è – come è noto – composta prevalentemente da donne, molte delle quali dedite a compiti di cura. E presenta un’età media più elevata rispetto a quella di altre comunità migranti. Lo testimonia per esempio il fatto che nel 2020 gli ucraini (ma, soprattutto, le ucraine) sono stati i principali percettori di prestazioni pensionistiche (15,5% del totale delle pensioni erogate) tra i gruppi nazionali immigrati in Italia.

Angoscia per i familiari a casa

Badanti o domestiche, con il pensiero di figli e nipoti rimasti in patria e magari arruolati o arruolabili: è il profilo delle tante mamme (e nonne) ucraine presenti a Milano e in regione, che in questi giorni trepidano per le sorti della loro terra e dei loro congiunti e amici. Ne hanno ben donde, perché una guerra estenderebbe a tutto il Paese lo stato di precarietà, sradicamento e violenza che da 8 anni si sperimenta soprattutto nelle regioni orientali, dopo la crisi militare causata dall’annessione della Crimea da parte della Russia e dalla “secessione di fatto” condotta dalle autoproclamate (e russofile) Repubbliche popolari di Lugansk e Doneck.

Conflitto latente

In 8 anni, nonostante gli accordi di pace firmati nel 2015 a Minsk, in Bielorussia, i belligeranti nella regione del Donbass (milizie russofile contro esercito ucraino) continuano a spararsi quotidianamente, affliggendo i quasi 4 milioni di civili che ancora vivono in quelle zone di confine. Dal 2014 il conflitto ha causato la morte di circa 14 mila persone, di cui 150 bambini, e la fuga di più di 1,4 milioni di persone, costrette a vivere da sfollate nel resto del Paese, in condizioni naturalmente inasprite dalla pandemia da Covid-19.

La rete di aiuti

La rete Caritas e la Chiesa cattolica hanno supportato come hanno potuto le comunità più esposte. «Attraverso le attività comunitarie, Caritas ha aiutato le persone a organizzarsi e a cercare di normalizzare la vita sociale», sintetizza Tetiana Stawnychy, presidente di Caritas Ucraina, organismo pastorale della Chiesa greco-cattolica. A essere raggiunti dagli aiuti sono stati 800 mila individui, inclusi i profughi provenienti da altre parti del mondo (come le famiglie afghane accolte dalla scorsa estate nelle strutture Caritas, in attesa di trasferimento in altri Paesi europei). «E oggi – fa eco padre Vyacheslav Grynevych, direttore di Caritas Spes, l’organismo della Chiesa latina -, anche se continuiamo a credere che nella nostra diversità siamo uniti dal desiderio della pace, organizzazioni caritative, comunità religiose e volontari devono prepararsi a curare le “nevrosi” della società», che non potranno non essere acuite da una guerra.

Negli ultimi anni Caritas Italiana ha sostenuto attività rivolte agli sfollati e a20 categorie fragili della società ucraina (ultimo, il finanziamento di un centro per disabili), coordinando inoltre gli aiuti provenienti da diverse Caritas diocesane, tra cui quella ambrosiana. Nel 2016, rispondendo a un appello di papa Francesco, l’organismo milanese contribuì alla colletta nazionale con 85 mila euro. E a Odessa, in Crimea, Caritas Ambrosiana ha finanziato il piccolo progetto Child Friendly Space, rivolto a bambini sfollati. Un impegno che, anche se la guerra dovesse essere evitata, come è auspicio di tutti, è destinato a intensificarsi nei prossimi mesi.