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Opera

Il carcere è fatto di mura, ma di più dalle persone che sono detenute e ci lavorano

L’Arcivescovo ha iniziato il giorno di Pasqua nella Casa di reclusione alle porte di Milano. «Il Signore ha stima di voi e vi vuole figli», ha detto ai 400 detenuti presenti alla celebrazione eucaristica con il direttore dell’Istituto, il Comandante della Polizia penitenziaria e tanti volontari

di Annamaria BRACCINI

1 Aprile 2018

«Il carcere è fatto dalle mura, dai regolamenti, dalle leggi da osservare, ma io ho sempre la speranza che sia fatto, più di tutto, da coloro che vi sono detenuti, da chi ci lavora e chi è volontario, dalle persone che hanno tanta stima di sé da poter dire che sono figli di Dio perché hanno accolto l’invito alla conversione. Vorrei che ci rendessimo conto che abbiamo tutti la responsabilità di seminare uno stile, uno spirito nuovo di vita, in questo luogo dove tanti soffrono, rischiano di avere solo lacrime, con un’aspettativa di rivincita e di impazienza di risultati. Forse noi cristiani, anche in carcere, possiamo essere questo sole di Pasqua, principio in cui tutte le cose vecchie della vita e della società che ci possono pesare addosso, sono superate. È iniziata una storia nuova e noi siamo incaricati di scriverla».
Nella Domenica di Risurrezione del Signore, l’Arcivescovo inizia la giornata nel carcere di Opera, dove si recò anche la mattina del suo ingresso ufficiale in Diocesi, il 24 settembre scorso e dove saluta, prima, gli agenti della Polizia penitenziaria e, poi, nel teatro della struttura, presiede l’Eucaristia cui partecipano circa 400 detenuti dei 1300 che rappresentano la totalità della reclusi.
Presenti il neo direttore Silvio Di Gregorio e Amerigo Fusco, comandante dei 700 agenti che quotidianamente svolgono il loro compito di custodia e controllo (nell’Istituto si applicano anche il regime in 41bis e l’ “Alta sicurezza”), accompagnano monsignor Delpini (che nel pomeriggio di ieri ha visitato il carcere “Dei Miogni” di Varese) i due Cappellani, don Antonio Loi e don Francesco Palumbo insieme al diacono Claudio Savi.
La Messa con il Vescovo è, ovviamente, il momento più atteso, anche se altre Eucaristie sono state celebrate per i detenuti in “41bis” e, ad esempio, nel Centro Clinico. Alessandro, in apertura, prende la parola a nome di tutti. «È un piacere averla qui oggi. Sappiamo che questa festa non cancella la croce che però è provvisoria e non conclusiva. Anche noi ci sentiamo spesso in croce, ma oggi portiamo i nostri diversi cammini su questo altare. Ci aiuti a conoscere la vita veramente nuova che Gesù ci indica, così potremo ritrovare il cammino con rinnovato entusiasmo».
Parole a cui l’omelia pare un’immediata risposta. «La Pasqua è l’apertura di un orizzonte inesplorato perché Gesù è risorto e quello che sembrava un destino ineluttabile – finire nella tomba – è chiamato a vita nuova. La novità di Pasqua dice che c’è un modo di vivere che è stato superato per coloro che credono nel Risorto».
Tre gli aspetti di tale superamento che Delpini indica, seguendo le Letture: «Gesù rimprovera Maria che, piangendo, rappresenta l’umanità per cui la vita provoca unicamente tristezza. Il Signore contesta che la vita sia solo una storia che finisce in lacrime». Poi, «l’interpretare la storia come tempo per avere una rivincita, come dicono i discepoli. Al contrario Gesù, morto in croce, perché ha preferito essere tra quelli che subiscono la violenza, è venuto non per la rivincita, ma per la Risurrezione».
E il terzo aspetto: l’impazienza che è spesso dentro di noi, come «tensione che sembra impedire di vivere il presente».
Insomma, la vita non è solo una storia da piangere, una storia di rivincite, una fretta impaziente, «ma è attesa e speranza».
E, naturalmente, ci sono anche i tratti precisi e peculiari della vita nuova: «Disponetevi a ricevere lo Spirito santo, la vita stessa di Dio che vuole che ognuno diventi veramente suo figlio. Proprio voi tutti. Il Padre ha stima di voi e sa che potete trasformarvi da discepoli inaffidabili in apostoli coraggiosi, da gente che rinnega la promessa di amicizia a persone fedeli fino alla fine. Cristo si aspetta del bene da noi, sa che ci sono energie buone: nessuno pensi di essere rovinato».
Del secondo dono parla la I Epistola di san Paolo ai Corinzi che «racconta come il Signore sia apparso anche a lui, il quale, da persecutore, era diventato apostolo. Il peccatore può diventare un santo; chi ha fatto del male puoi divenire persona che fa del bene. Questo è l’appello alla conversione, questa è la Pasqua che vogliamo celebrare».
Infine, il richiamo al carcere, fatto di persone, da edificare con amore e attenzione reciproca proprio per il sole della Pasqua del Signore, che, quasi a farsi concretamente presente, entra nel teatro con una lama di luce che rischiara ogni cosa.
A conclusione, dopo le preghiere di intercessione scritte dai detenuti e proclamate nella Liturgia, la Comunione portata anche dall’Arcivescovo a molti detenuti, il saluto di don Palumbo e tante strette di mano, la benedizione: «Abbiate la certezza che la vostra vita è benedetta da Dio».