Inizia con la preghiera dell’Ora media la Giornata di formazione liturgico-musicale proposta dal Servizio per la Pastorale liturgica della Diocesi negli ampi spazi della parrocchia di Santa Maria Nascente in QT8, con il titolo «E come canteranno se nessuno li guida? Come risvegliare il canto nelle nostre assemblee liturgiche».
Più di un centinaio le persone che partecipano al momento assembleare comune e successivamente ai laboratori pratici di guida al canto dell’assemblea – divisi tra principianti e già più esperti in materia, a cura di Ivan Losio, Roberto Arzuffi e don Riccardo Miolo, collaboratore del Servizio liturgico e «anima» della sua sezione musicale -, di organo con Sefano Torresan e di chitarra, a cura di Franco Lazzari.
La relazione centrale della mattinata è stata affidata alla musicologa Chiara Colm con il titolo «Assemblee che cantano; storie di relazioni i mutamento».
Il canto come strumento pastorale
«Per un inquadramento storico pastorale, il tema può essere trattato scegliendo punti di osservazione molto diversi», spiega la relatrice indicando, in specifico, tre tappe: «un inquadramento storico essenziale, le traiettorie del Magistero e gli spunti pastorali per il presente».
«I cristiani sono chiamati a cantare un canto nuovo, a pregare cantando. Il canto è espressione connaturale del popolo di Dio riunito e, come tale, è corale in se stesso», ha continuato Colm in riferimento al quadro storico.
«Lo spirito dell’espressione cristiana dei primi secoli si fonda sulla sobrietà nella gioia, sulla preoccupazione di edificare la comunità attraverso il canto e sul rifiuto di qualsiasi formula rituale che potesse rimandare al mondo della magia o del paganesimo».
Poi, il richiamo al cinquecentesco Concilio di Trento, con le sue istanze controriformiste. Concilio nel quale «particolare attenzione fu data ai cosiddetti abusi che possono essere ricondotti a tre filoni: l’incursione del profano nei testi e nelle musiche, l’incomprensibilità dell’ascolto e la mancanza del rispetto della componente liturgica. Dai documenti di allora non emerge in alcun modo un’assemblea che canta, ma eventualmente un popolo che ascolta con il canto che è sempre più appannaggio clericale» e laddove il canto popolare è confinato nelle devozioni.
L’800 è un nuovo secolo cardine, tra illuminismo e restaurazione, in cui si sviluppano nuove forze ed emergono figure e movimenti di grande impegno, con una nuova sensibilità nei confronti della musica e della liturgia.
Infine, «il Concilio Vaticano II con i suoi molti riferimenti magisteriali che manifestano la difficoltà derivante dallo squilibrio tra la storia lontana e il presente, tradizione e rinnovamento. La liturgia viene intesa così, finalmente, come azione Teandrica (di Dio e dell’uomo)» con il riconoscimento dell’importanza «del popolo nella vita della Chiesa, nella celebrazione e nel canto attraverso i repertori che manifestano la necessità pastorale di avvicinamento e di riavvicinamento del popolo di Dio».
La liturgia come un giardino
Con l’immagine simbolica della liturgia come un giardino, di chiaro sapore conciliare, la musicologa affronta il cuore della questione. «La nostra liturgia, nel giardino celeste dove viviamo, è specchio di questo giardino. Ma chiediamoci se tale giardino è un serra, un orto botanico ordinato, ma a rischio di sembrare solo un museo o un parco giochi di solo intrattenimento, magari accattivante a secondo delle fasce d’età. Occorre partire dall’ascolto perché, nella liturgia, Dio parla al suo popolo e il nostro canto è sempre una risposta all’amore ricevuto: certo ci si deve confrontare con le esigenze dell’uomo e del rito, con la storia dei luoghi, ma il giardino è uno spazio che va condiviso. Quando ci ritroviamo come assemblea, siamo in uno spazio comune, quindi, occorre abbattere le barriere sia architettoniche che sensoriali. Riusciamo con la musica, a trovare un punto di incontro? Se la bellezza crea barriere, non è bellezza».
Come a dire, «nel giardino del canto liturgico i lavori di cura non sono mai finiti. Occorre sospendere il giudizio su noi stessi e il coro per poter gustare veramente la celebrazione, perché se non facciamo questo l’assemblea percepirà che è sotto esame, che qualcuno la sta giudicando. Bisogna sorridere anche quando qualcosa non va nel senso auspicato, e ciò mostrerà il volto di Cristo più della bellezza del canto. Non preoccupatevi, in maniera autoreferenziale, del ruolo che ricoprite», raccomanda Colm, rivolgendosi direttamente ai presenti.
Insomma, no all’ansia da prestazione, «ma darsi tempo, andare con calma», comprendere che servono anche dei «vuoti». «C’è un tempo giusto per ogni cosa e bisogna lasciare spazio, nella pianificazione, anche a dei vuoti, cogliendo in essi un’attesa e condividendo le intenzioni. Per questo è importante preparare l’assemblea, riconoscendosi come un popolo convocato e aprendo nuove prospettive».
«Le ore che passiamo in coro sono ore di canto, ma soprattutto di silenzio perché noi cantando ascoltiamo», come scriveva madre Anna Maria Canopi. Questa la consegna finale con quella di avere sempre uno sguardo sull’altro, fondamentale anche per gli animatori liturgico-musicali, figure di ponte tra il celebrante e il popolo, figure «missionarie e non solo chiamate ad adempiere un compito», per usare le parole di don Miolo.
Nel pomeriggio, poi, la coinvolgente esecuzione de «Il Mattino della Risurrezione», oratorio per coro, strumenti e assemblea. già con il pensiero rivolto al riavvio dell’ormai collaudata proposta di successo «Te Laudamus» per la formazione pratico-teorica di chi vive un ministero liturgico musicale nella nostra Chiesa, articolata in un corso base e uno di aggiornamento. Primo appuntamento, sabato 28 ottobre (ore 14.30) nella Scuola Beato Angelico per l’incontro introduttivo.