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Milano

Delpini ai giovani del San Paolo: «Siete i custodi del futuro»

La ricerca della felicità, il senso autentico della libertà, la risposta alla propria vocazione, la costruzione del bene comune: questi i temi toccati nel dialogo tra l’Arcivescovo e gli universitari ospiti del collegio de La Vincenziana

di Annamaria BRACCINI

15 Marzo 2024
L'Arcivescovo durante il dialogo

Prima una cena semplice, come si fa tra amici. Poi un dialogo di giovani che, con l’Arcivescovo, hanno voluto raccontarsi, fare domande e trovare risposte. Questo il clima – bello – e il senso con cui gli studenti universitari ospiti del Collegio San Paolo -una delle tre strutture della Fondazione Vincenziana – hanno vissuto la “loro” serata con monsignor Delpini, alla presenza di alcuni assistenti spirituali dei Collegi, della direttrice del San Paolo e del direttore della Vincenziana Paolo Martina. È lui, introducendo il confronto aperto da un convinto applauso e ricordando «il legame fortissimo con l’Arcivescovo», a parlare di un incontro che «idealmente non ha porte, immaginando di essere in compagnia di tanti altri che, nel tempo, hanno fatto qui un percorso, coltivando sogni lontano da casa, con aspettative e fragilità, facendo la propria strada anche con la guida degli assistenti».  

Sfuggire agli idoli

«La vita di comunità che condividiamo tra queste mura, attività come le gite o preparare la cena, ragionare insieme e lasciarsi alle spalle una Milano un po’ anonima, è l’aspetto più bello del Collegio», osserva un ragazzo, mentre Francesco, originario della Puglia che frequenta il primo anno di Ingegneria elettronica, chiede, seguendo il Vangelo di Giovanni 15 («Voi siete nel mondo, ma non del mondo»), come un giovane possa capire «che abitiamo da un’altra parte», di fronte a tanti idoli che propone la vita di oggi. 

«Questa domanda è molto impegnativa», osserva subito monsignor Delpini, che tiene tra le mani il giornalino di attualità Il Moscone, autoprodotto dai collegiali. «L’idolo è qualcosa di costruito dall’uomo per un’attesa di felicità, come gli israeliti con il vitello d’oro. L’oro, la ricchezza possono essere degli idoli, ma non danno niente, danno potere, ma fanno scivolare nell’infelicità. Voi avete, però, un promessa attraente, perché la fede è un affidamento, una struttura della libertà, non quella che non si trattiene e non si sporge mai verso qualcosa».

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L’esempio del beato Acutis

L’esempio, caro all’Arcivescovo, è suggerito dalla possibilità di avere una macchina potentissima, una Ferrari, ma che sta in garage, perché non c’è niente da raggiungere: «Invece, la fede ci dice che Dio chiama fuori dalla schiavitù dell’Egitto, dal parcheggio, per raggiungere una meta, come potete fare voi giovani. Non essere del mondo, seppure nel mondo, vuole dire questo».

Come comprese, nei suoi soli 15 anni di vita, il beato Carlo Acutis, più volte ricordato. Il “santo 2.0” che amava la vita e l’ha vissuta, non realizzando cose straordinarie, ma essendo in comunione con Dio. «Questo non lo fa un personaggio da copertina, da altare, da immaginetta», ma un esempio «di una vita dedicata a qualcuno, che si dona», puntualizza l’Arcivescovo: «I santi non sono persone che non hanno mai sbagliato, da agiografia, ma gente di qualunque genere, ambiente sociale, situazione che ha in comune una libertà che si consegna, ognuno con i tratti della propria originalità, come diceva Carlo che non voleva essere una fotocopia. Sulla sua tomba ad Assisi sono rimasto colpito dalla tanta gente che la visita perché ha significato qualcosa: un ragazzo che ha vissuto, con jeans e scarpe da tennis, il suo essere con il Signore».

Il riferimento è anche alla vita eterna, «che è diventata una parola straniera nel vocabolario contemporaneo»: «Io contesto coloro che pensano che la vita eterna sia quella dopo – scandisce monsignor Delpini -. È la vita in comunione con Dio, attraverso Gesù, che inizia con il battesimo. Fare tutto per la vita eterna non vuole dire guadagnarsi il paradiso, ma vivere in comunione con il Signore».

Capire la propria vocazione

«Come possiamo capire la nostra vocazione?», viene ancora chiesto. «L’impressione di aver sbagliato strada, di aver scelto una facoltà o un amore non adatti, è un sospetto che può accadere nella vita di un giovane ed è frequente fare i conti con i propri fallimenti. Ma c’è un criterio per fare scelte buone: parlare con Dio e mettersi in rapporto con Lui non implica una strada tracciata, una predestinazione, ma chiedersi cosa vuole il Signore da noi, ossia la felicità di ognuno secondo la propria vocazione. Una felicità che consiste nell’essere amato e amare. Pregare Dio e credere non si concretizza in cosa mi piace fare, ma sentendosi coerenti con la propria sensibilità, comprendendo i propri talenti e volendo consigliarsi con persone sagge con cui confidarsi. Desiderio, vocazione e consigliarsi sono i punti-cardine di una vocazione a essere felici, anche se raggiungere la felicità è una storia complicata».  

È la volta di Michele, studente in Ingegneria informatica, che domanda «come avere la capacità di discernere il bene dal male in una città così complessa come Milano». «Al termine della Visita pastorale alla città – ricorda l’Arcivescovo -, ho scritto le mie Sette lettere per Milano, in cui indico che il discernimento è un dialogare con la propria coscienza, una misteriosa voce che, se è sincera e capace di silenzio, orienta. La coscienza è quel luogo, nella profondità dell’io, che riconosce il giusto e lo sbagliato». Poi il secondo criterio della scelta: «Confrontarsi con gli altri, nella pluralità di opinioni», ma senza ideologie e «correggersi con umiltà riconoscendo gli errori, per diventare saggi. Avere una cultura – si usa ancora leggere dei libri e non solo manuali? scherza – aiuta a discernere».

I giovani presenti alla serata

Costruire il bene comune e il futuro

Giulio, al terzo anno di Architettura con altrettante annualità di studentato al San Paolo, chiosa: «Come il bene comune può essere un bene autentico per ciascuno?». «Il bene comune non si risolve con una formuletta: io credo che lo si possa definire come l’insieme di qualcosa di bene per la città che appartiene a tutti. Lo scopo della politica è edificare questo bene, per il quale sono necessarie un’educazione e una formazione, vivendo insieme in modo pacifico e costruttivo».

Infine, Martina, futuro medico, si interroga su «come costruire una visione di futuro». «È un tema che mi interessa – conclude l’Arcivescovo – «e che, evidentemente, interessa moltissimo a voi che siete i custodi del futuro. Il domani non è un destino, non è già scritto e, anche se ciò può generare disorientamento, ricordate che siete autorizzati ad avere stima di voi stessi: siete bravi, dimostrate quello che sapete fare nella vita. Le vostre scelte determineranno il futuro: se sarete timidi e egoisti, la società sarà così. Papa Francesco ha definito alcuni momenti del suo Magistero che contengono delle promesse, con Amoris Letitiae, la promessa di un amore fedele e definitivo, con l’Enciclica Laudato Si’, per un ecologia integrale dell’umano, la promessa di una società in cui la custodia della persona e del creato siano una meta. Questo è un percorso desiderabile e noi siamo capaci di compierlo».

 

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