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L’arcivescovo Delpini a Cuba

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Intervista

Delpini: «A Cuba una Chiesa che non rinuncia alla sua missione»

Nella sua recente visita pastorale nell’isola caraibica l’Arcivescovo ha osservato da vicino le fatiche e le difficoltà della popolazione, ma anche i tanti frutti di bene che la comunità cristiana – pur limitata e con scarse risorse – riesce a produrre

di Annamaria BRACCINI

24 Luglio 2023
L'Arcivescovo in visita a un infermo

Rimanere, anche se tanti vogliono fuggire. Rimanere per tenere la mano a chi soffre, anche se non si possono guarire tanti mali. È questo il “dono” che l’Arcivescovo, tornato dalla sua visita pastorale a Cuba, ha portato con sé in terra ambrosiana, dopo gli intensi giorni di visite, celebrazioni, incontri con le realtà locali e i nostri quattro sacerdoti fidei donum (ai quali se ne aggiungerà prossimamente un quinto) impegnati nella diocesi di Santiago de Cuba. Ed è appunto monsignor Delpini a raccontare, in prima persona, il suo viaggio.

Eccellenza, qual è la situazione che ha potuto constatare?
In questo periodo il Paese è in una situazione molto particolare. Tutto ciò che ho visto e sentito segnala un momento di grandi ristrettezze, di difficoltà a reperire perfino i generi di prima necessità. Quindi, dal punto di vista delle condizioni di vita, sono molte le fatiche che si presentano anche per i nostri preti, che in ogni caso sono assai apprezzati per quello che fanno. Mi ha colpito che queste comunità, nonostante la crisi, abbiano un modo di raccontarsi grato: emerge sempre, infatti, una gioia per quello che riescono a realizzare. Certamente, quando si considerano le cose in concreto, si vedono i limiti di questa Chiesa, che può fare davvero poco e con poche persone, affrontando, comunque, una situazione di grande povertà con l’aiuto che riesce a dare. Grazie ai fidei donum e alla relazione con la nostra Diocesi si possono almeno offrire quei supporti che, talvolta, l’isola non può fornire, come per esempio medicinali e altri prodotti di cura.

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Nell’incontro con l’arcivescovo di Santiago de Cuba, Dionisio Guillermo Garcia Ibáñez, si è parlato della missione della Chiesa ed è stata citata anche Milano. Ovviamente si tratta di condizioni molto diverse, ma anche Milano può essere considerata terra di missione?
Sì, l’annuncio del Vangelo, cioè l’evangelizzazione, è sempre il primo e più importante compito della Chiesa, ed è ciò che essa fa in Cuba, a Milano e dappertutto. Il bisogno di Vangelo non è legato all’Italia, o all’anno di fondazione di una Chiesa locale, che può essere del III secolo, del XVI o dell’anno scorso. Nell’isola caraibica il Vangelo viene annunciato dentro i limiti ristretti dell’ambiente ecclesiale, perché non è possibile un’esposizione pubblica: la Chiesa non può andare nelle scuole, predicare nelle piazze, organizzare manifestazioni, se non le processioni più tradizionali. Sono, questi, limiti imposti dall’esterno, dalla disciplina di cui vive Cuba e anche da una certa, diciamo, “desertificazione” dell’ambiente. Resiste una grande devozione a Maria, ma molti anni di comunismo ateo proposto e imposto hanno – credo – spento quel desiderio di Dio che è dentro il cuore di ogni uomo e che a Cuba si manifesta, talvolta, con una sorta di devozione per ciò che viene definito la Santeria, cioè un insieme di santi, di personaggi a cui si attribuiscono poteri e grazie.

Proprio dalle immagini del gran numero di persone che hanno preso parte alla celebrazione da lei presieduta nel Santuario nazionale di Nostra Signora della Carità del Cobre, si è potuto vedere che il sentimento religioso, magari costretto e nascosto, continua a esistere…
Sì, è stato un momento molto significativo, anche perché abbiamo compiuto un pellegrinaggio organizzato dalle parrocchie in cui sono presenti i nostri sacerdoti ambrosiani, e quindi solo tre parrocchie sono convenute al Santuario. Considerando anche la difficoltà dei trasporti, la gente ha lo ha comunque affollato, compiendo in molti casi un viaggio disagiato. In ogni caso, si percepiva la gioia di ritrovarsi: il canto e il raccoglimento mi hanno edificato.

Lei si è recato a visitare il Progetto Gabrièl, che da tre anni sostiene ragazze madri, spesso giovanissime, e dal quale sono passate diverse decine di ragazze. La Chiesa si impegna, quindi, anche sulle frontiere più complesse della realtà sociale?
Il Progetto è della diocesi di Santiago de Cuba e i nostri fidei donum l’hanno interpretato secondo le possibilità di cui dispongono. Nella parrocchia di Palma Soriano si realizza un incontro mensile con alcuni volontari, nel quale a queste giovanissime ragazze madri viene proposta una consulenza psicologica, medica, spirituale. Si offre anche un piccolo sostegno mensile e generi necessari a loro e ai bimbi. In un’altra parrocchia il Progetto Gabrièl si è maggiormente strutturato ed è divenuto un modo per il quale, oltre all’aspetto psicologico, medico e spirituale, vi è la cura per una sorta di abilitazione professionale attraverso una scuola di taglio e cucito. E questo grazie ai sussidi che, nella parrocchia di Baire, don Carlo Doneda ha potuto raccogliere per comprare macchine da cucire. Le giovani possono così imparare un lavoro che può rivelarsi particolarmente utile per la loro vita, dato che spesso non hanno neanche una famiglia alle spalle e invece hanno una gravidanza da portare avanti o un bambino a cui badare.

Cosa le ha regalato questo viaggio pastorale?
Il più grande dono è una parola del vescovo Dionisio: rimanere. In un contesto nel quale molti desiderano andarsene – e di fatto lo fanno -, la Chiesa rimane. Rimanere significa questa fedeltà alla gente modesta, semplice, povera e la disponibilità al servizio. È come quando si va a trovare un malato e, pur non potendo fare niente per guarirlo, si resta, stringendo la sua mano. Così anche i nostri sacerdoti fidei donum a Cuba sentono il loro impegno nella comunità. Questo mi sembra un messaggio insieme edificante e straziante, che, però, dice anche la lucidità con cui si legge la presenza della Chiesa che, senza incontrare favori da parte di nessuno, non rinuncia mai alla sua missione.