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La Diocesi nel Cammino sinodale

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Testimonianze

Dal Sinodo nasce una nuova forma di Chiesa

Per il teologo monsignor Pierangelo Sequeri (presente all’assemblea come esperto) e la claustrale madre Maria Ignazia Angelini (che all’assise ha predicato gli Esercizi spirituali) l’esperienza condotta fa guardare con fiducia alla prossima sessione dell’ottobre 2024

di Annamaria BRACCINI

7 Novembre 2023
Una fase dei lavori sinodali (foto Sir)

«Il primo risultato del Sinodo è quello che tutti i partecipanti hanno percepito in corso d’opera, ossia che è possibile parlare, ascoltarsi, scambiare idee, pur con modi diversi di affrontare i temi e i problemi della Chiesa». Monsignor Pierangelo Sequeri, teologo ed esperto al Sinodo sulla sinodalità appena conclusosi, non ha dubbi, sul «guadagno», come lo definisce, che la XVI Assemblea ha portato con sé: «L’idea condivisa è stata che, comunque, la Chiesa ha bisogno di allungare il passo, di riprendere, per così dire, l’iniziativa di fronte al contesto nuovo nel quale si trova e la scoperta è che, nonostante le prevedibili differenze di impostazioni e anche di contesti non solo ideali, ma anche legati ai luoghi – le Chiese d’Oriente rispetto a quelle dell’Europa e dell’America Latina – è sempre possibile il dialogo».

La «madre spirituale»

Una convinzione, questa, condivisa da madre Maria Ignazia Angelini, claustrale benedettina nel Monastero di Viboldone, chiamata a predicare gli Esercizi spirituali dell’assise: «Ho respirato un clima direi dilatante: mi sono sentita come catapultata, senza nessun preavviso, in un’avventura per me completamente inedita, da una piccola comunità alle porte di Milano dentro la Chiesa universale. Mi è stato detto che dovevo essere la “madre spirituale” del Sinodo e, certo, non è mancata in me la preoccupazione; tuttavia, ho sentito un “campo aperto” che ha subito vinto tutte le mie esitazioni e il senso di inadeguatezza. Così ho potuto essere presente così com’ero, basandomi sulla mia piccola esperienza di monaca appartenente a una comunità dove, peraltro, la sinodalità è di casa, a partire dalla sapienza di San Benedetto. Sulla base della radice comune di questo stile monastico e dell’assemblea, ho parlato di Vangelo, di ascolto della Parola e mi sono sentita completamente in sintonia con i Padri sinodali».

Dialogare e pregare, insieme

«Portare allo scoperto la propria riflessione e lasciare che essa sia ispirata dagli interessi comuni per il bene della Chiesa, dall’orizzonte della preghiera, dalla comune fede in Dio, è piacevole e persino consolante – aggiunge monsignor Sequeri, riflettendo sul metodo della “conversazione spirituale” -. Ha rappresentato più che un aiuto: è stata l’evidenza di una dimensione della sinodalità che forse prima appariva sfumata e vaga: non c’è una divisione per cui, da una parte, si fanno i dibattiti e, dall’altra, si dicono le preghiere: le due cose possono e devono andare insieme. Questo è un aspetto che va capitalizzato».

«I primi tre giorni di ritiro non sono stati propriamente di conversazione – sottolinea madre Angelini -: io e padre Timothy Radcliffe proponevamo delle meditazioni e poi vi era il silenzio e molta preghiera insieme. Però ho potuto cogliere immediatamente un ritorno di sintonia profonda tra questo percorso e quello dei lavori veri e propri, come se proporre le parole fondamentali della fede, cioè la capacità di ascoltare una Parola non nostra, avesse permesso di individuare il luogo della conversazione spirituale che è avvenuta immediatamente dopo. Io non ero ammessa ai Circoli minori, ma ero chiamata a esserci come presenza di ascolto e di preghiera. Dalla mia marginalità mi sono sentita profondamente inclusa, ed è una cosa straordinaria secondo me. Mi è sembrato di aver sperimentato una nuova forma di Chiesa che nasceva, che veniva recuperata dalle origini, che dovrebbe essere riproposta a livello delle Chiese locali».

Un linguaggio diverso

Per arrivare a questo risultato fondamentale e in linea con la logica con cui papa Francesco ha chiesto di vivere e interpretare il Sinodo, occorre un linguaggio diverso? Ne è convinto Sequeri, che spiega: «Se pensiamo che fino a ieri, si può dire, circolava l’idea che i Padri sinodali formassero una specie di fronte frammentato fatto di contrapposizioni, proclami, attese, mi pare che sia cruciale tenere salda l’idea che abbiamo bisogno di un linguaggio diverso, perché negli ultimi tempi il livello di tensione nella Chiesa ha raggiunto anche forme non accettabili. Sgomberato il terreno, si potrà e si dovrà fare spazio per la riflessione, trovando non soltanto delle ragioni, ma anche una lingua comune per dire ciò che la Chiesa desidera. Il linguaggio prevalente utilizzato al Sinodo è il migliore di cui disponiamo, ma non è ancora sufficiente perché rimane molto ecclesiastico, formato dalla nostra abitudine. Il mondo, la cultura, la condizione sociale odierna, dal punto di vista dell’osservazione ecclesiastica, sembrano più un fascio di problemi che non interlocutori. In questo momento anche il mondo sta arrancando, com’è evidente, e ha bisogno anch’esso di un linguaggio diverso da quello illuministico, individuale e personalistico cui si era abituato. Come Chiesa, allora, bisogna avere un linguaggio che declini il concetto di missione, di appartenenza, di testimonianza sullo spessore di un mondo fatto delle persone reali che lo abitano».  

E, forse, è proprio in questo “nuovo modo” di percepirsi come Chiesa, capace di essere limpida nella propria testimonianza missionaria, che, non a caso, ha trovato spazio un’inedita valorizzazione della voce delle donne, come conferma madre Maria Ignazia: «Ho colto che le donne facevano la differenza e me lo hanno confermato i Padri sinodali. Più dei singoli contributi che, comunque, hanno portato la testimonianza di un mondo sommerso, quello delle donne, è contato il clima di cordialità, di cura, di percezione che l’altro è importante in un atteggiamento profondamente generativo nel dialogo. Sicuramente le donne hanno smussato tante asperità nei confronti, nelle diversità, nei contrasti e questo è un dato di grande rilievo».

Insomma, anche se il Sinodo è stato circondato, all’inizio, da molti dubbi e perplessità, oggi si può guardare con più ottimismo alla seconda sessione dell’ottobre 2024. «Certamente – conclude – monsignor Sequeri -. Non si risolveranno tutti i problemi, un po’ di scetticismo ci sarà sempre – questa prima sessione non è bastata a dare la certezza che tutto andrà bene, come si dice oggi, ma le premesse per congedarsi da uno scetticismo preventivo ci sono tutte. Io credo che chi è stato al Sinodo lo possa testimoniare e occorre farne subito tesoro nelle comunità a cui ritorniamo».