Il corso «La parrocchia comunica» per l’anno 2025, al via sabato 22 febbraio (iscrizione online obbligatoria entro il 20 febbraio), è caratterizzato da molte novità, in particolare puntando sull’uso delle immagini nella comunicazione ecclesiale.
Per questa ragione, tra gli esperti coinvolti dall’Ufficio comunicazioni sociali, c’è anche Andrea Cherchi, giornalista e fotografo professionista, la cui notorietà è cresciuta grazie alle immagini di Milano in lockdown, pubblicate sulla sua pagina Facebook «Semplicemente Milano. Andrea Cherchi fotografo». Molto attivo anche su Instagram (@andreacherchi_foto). Precisamente, interverrà nella giornata del 22 marzo, insieme a Federico Bianchino (social media manager di ChiesadiMilano) e a don Luca Fossati (collaboratore dell’Ufficio comunicazioni sociali).
Cherchi, quando ha aperto la sua pagina Facebook?
Nel 2018. Doveva essere una vetrina per farmi conoscere e per avere opportunità lavorative, ma dopo pochissimi mesi è diventata una sorta di contenitore di video e foto per le persone che non potevano muoversi, per far vedere loro la città. Ho iniziato anche ad andare nelle case di riposo e tuttora ci vado, per proiettare le stesse fotografie contenute in “Semplicemente Milano”. Ho scelto di non fare polemica né denuncia, ma contenuti positivi raccontati in maniera breve e semplice.
L’esplosione è avvenuta nel primo lockdown…
Essendo giornalista iscritto all’Ordine, potevo uscire per la città: andavo anche negli ospedali, nelle terapie intensive, ma ho scelto di non pubblicare quelle immagini per non spaventare. Le persone hanno invece visto la Milano vuota, ma anche la solidarietà: andavo nelle mense per far vedere che eravamo chiusi in casa, ma che qualcosa si muoveva. Questo ha aiutato a livello nazionale, naturalmente anche tramite tanti altri, a far capire che Milano non è solo dedita al business e alla frenesia; mi ha fatto molto piacere.
Quando ha iniziato a collaborare con l’Ufficio comunicazioni sociali della Diocesi?
Quando ne era responsabile don Davide Milani. Per raccontare la città entravo anche in Duomo, grazie alla Veneranda Fabbrica: a un certo punto, ho iniziato a collaborare con l’Ufficio e con i media diocesani, diventando un vero e proprio lavoro. Mi sono sempre trovato bene: c’è tanta umanità e semplicità. Per questo sono stato chiamato anche per la parte del corso che si terrà il 22 marzo.
Appunto, quella giornata ha come titolo «Non è bello ciò che è bello, figurati se è brutto»…
Non vuole essere un corso di fotografia puro: mi aspetto che le persone vengano a fare una chiacchierata con noi su quello che è la fotografia come strumento di utilità, non come gara di bravura, ma come racconto di esperienze anche all’interno della Chiesa. Chiederò a tutti un racconto improntato sul sociale, con una decina di scatti. Alla fine del corso mi renderò ulteriormente disponibile a riceverli, a valutarli ed eventualmente a pubblicarli anche sulle mie pagine.




