La Chiesa ambrosiana si prepara a fare festa per gli undici diaconi del Seminario di Milano che verranno ordinati sacerdoti sabato 7 giugno in Duomo, per l’imposizione delle mani dell’arcivescovo Mario Delpini. Insieme a loro ci sarà un altro candidato dell’ordine dei Figli di Maria Immacolata.
Gli undici diaconi, di età compresa tra i 26 e i 35 anni, hanno alle spalle studi ed esperienze lavorative differenti, così come diverse sono le loro storie vocazionali. Ad accomunarli la decisione di mettersi alla sequela di Gesù. Una decisione non semplice, maturata nella quotidianità della vita, grazie a incontri significativi, coltivando i propri hobby, studiando o praticando sport con gli amici. Dalle loro storie emerge che spesso, proprio coltivando le passioni personali, sono nate domande profonde che fanno prendere alla vita direzioni impensate, come quella di entrare in Seminario per verificare e approfondire la vocazione. Ne parliamo con il rettore, don Enrico Castagna.
Perché hanno scelto come motto «Consacrali nella verità» (Gv 17,17)?
Attraverso questa frase evangelica questi undici fratelli vorrebbero comunicare a tutti quanto sia stata e sia prioritaria la relazione con il Signore Gesù nella loro esperienza vocazionale e l’intenzione di vivere il ministero presbiterale come via per rimanere profondamente innestati in Lui, per esercitarsi nell’essere anzitutto suoi discepoli. In un tempo complesso e fluido, occorre a maggior ragione radicarsi nell’essenziale, occorre responsabilmente prendersi cura del proprio cammino di fede. L’appartenenza al Signore Gesù, peraltro, se è profondamente spirituale, non produce identità oppositive e barricate in un ruolo, ma è condizione perché si porti frutto, perché ci si slanci sulle strade della missione, disponibili per ogni tipo di incontro.
Questi undici diaconi diventano sacerdoti nell’anno giubilare, che ha come filo conduttore il tema della speranza. Che cosa potrebbe loro suggerire?
Che la missione prioritaria della Chiesa è proprio questa: diffondere la benedizione, la consolazione, la speranza di Dio. Al netto dei limiti e delle fragilità personali che anche i preti portano con loro e dello scoraggiamento che alcune situazioni pastorali potrebbero indurre, sarebbe però strano che il passaggio di un sacerdote in una comunità si segnalasse anzitutto come passaggio che rattrista, appesantisce, scandalizza. Ci sarebbe da aspettarsi che la presenza di un prete sia per lo più percepita come apportatrice della benedizione e della speranza di Dio nelle diverse circostanze che la comunità o le persone si trovano ad attraversare.
Cominciano il loro ministero presbiterale nei giorni in cui anche papa Leone XIV inizia la sua missione pontificale…
Mi hanno colpito i molteplici riferimenti di papa Leone al tema dell’unità nella Chiesa e il richiamo rivolto a tutti i credenti in Cristo a essere ponti di dialogo e fermento di riconciliazione. Ogni battezzato è chiamato a essere un tessitore di comunione, a maggior ragione questo compito è affidato ai presbiteri che esercitano il ministero della presidenza. Essi devono costituire un solo presbiterio col Vescovo; sono chiamati a rendere presente il Vescovo e la Chiesa universale nelle comunità loro affidate. Tutto ciò suggerisce quanto sia fondamentale per un prete rifuggire ogni tentazione di autoreferenzialità ed educarsi a essere «servo della comunione», come ama ripetere anche il nostro Arcivescovo.
Come potranno accoglierli le comunità parrocchiali o pastorali cui saranno destinati?
Accogliere un sacerdote potrebbe essere l’occasione perché una comunità rifletta sul dono che, potenzialmente, un prete è. L’accoglienza richiede che si superino forme di pregiudizio per cui ognuno vorrebbe un certo tipo di prete e guarda con diffidenza altre tipologie. L’accoglienza invoca disponibilità piena all’incontro con l’altro che è unico, al di là dei cliché. Anche gli ormai prossimi preti novelli saranno chiamati ad accogliere, con fiducia, comunità e persone che incontreranno. Dovranno dedicarsi molto all’ascolto di realtà che hanno una loro storia peculiare, evitando la tentazione di chi ritiene di avere in tasca le soluzioni che servono.
L’ordinazione presbiterale di questi uomini invita tutti noi a prenderci cura dei semi di vocazione presenti nella Chiesa…
Questi undici fratelli non vengono da Marte; sono stati affascinati dalla testimonianza di qualche credente, hanno incontrato comunità e preti che li hanno provocati e accompagnati. A proposito di cammini vocazionali, vorrei alludere a una nuova proposta del Seminario che si aggiunge ad altre già note: «Venite e vedrete». L’iniziativa è frutto di un confronto tra sette vicari parrocchiali incaricati di Pastorale giovanile (uno per ogni Zona pastorale) e i formatori del Seminario. Il percorso è pensato per giovani uomini con almeno 18 anni, che abbiano una domanda o un’intuizione vocazionale incipiente. È pensato in forma modulare, in modo da accompagnare il giovane in maniera graduale, offrendogli la possibilità di percorrere quel tratto di strada che ritiene più opportuno.




