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Durante l’emergenza

Cappellani in prima linea anche a rischio della vita

La testimonianza di fra Roberto Nozza, Cappuccino del Cimitero Maggiore di Milano, che ha benedetto le salme e le ceneri arrivate lì durante la pandemia

di Cristina CONTI

14 Giugno 2020
Fra Roberto Nozza

Giovedì 18 l’Arcivescovo celebrerà una Messa in Duomo alle ore 21 dedicata a tutti i presbiteri, diaconi, consacrati e consacrate morti nell’ultimo anno in particolare per il Covid-19. Persone che sono state vicino ai malati anche a costo di rimanere contagiati. Durante tutto il periodo del lockdown, infatti, anche se nelle chiese non ci sono state celebrazioni, molti di loro hanno dato un grande aiuto a coloro che si trovavano in difficoltà.

Tra questi, in prima linea ci sono stati i frati Cappuccini del cimitero Maggiore e in particolare fra Roberto Nozza, che ha dato una benedizione a tutte le salme e le ceneri che sono arrivate in cimitero nei giorni più duri della pandemia. «Questo periodo per me è stato molto particolare – racconta -. Sono qui da 21 anni e non ho mai visto arrivare tanti carri funebri. Ci sono stati giorni in cui ne arrivavano tra i 20 e i 40. Le imprese mi chiamavano in continuazione. Arrivavo a sera che ero stanchissimo».

Bergamasco di nascita, fra Roberto è stato molto vicino ai parenti che accompagnavano i loro cari con una preghiera e una parola di conforto. «La cosa che più mi ha toccato di questa esperienza è stato l’incontro con le persone», precisa. A volte erano i figli che accompagnavano in cimitero i genitori morti, altre volte un coniuge, altre un nipote, rimasto l’unico della famiglia a non essere in quarantena: «Quando arrivavano qui erano molto sofferenti. Da quando avevano saputo che i loro cari erano malati, non avevano più potuto nemmeno vederli. E soprattutto aspettavano con ansia la benedizione: gli sembrava di ricevere chissà che cosa».

Certo, l’impossibilità di vedere un parente stretto malato gravemente, poi il lutto e il non poter celebrare il funerale hanno reso il momento della morte di un parente stretto ancora più doloroso. E la benedizione è stata una consolazione. «Sono state giornate faticose, ma sono anche passate molto velocemente. Non mi accorgevo nemmeno di quanti mesi fossero trascorsi dall’inizio della pandemia», aggiunge. Il suo Superiore gli aveva chiesto se voleva aiuto: avrebbero potuto fare dei turni e incontrare a rotazione i parenti dei defunti, ma fra Roberto ha preferito continuare da solo, sull’esempio di tutti quei medici che avevano perso la vita per aiutare gli altri. E così, con guanti e mascherina, senza paura di prendere il virus, ha continuato la sua missione con tranquillità, pensando solo al conforto che poteva dare a chi stava affrontando una grave perdita. «A furia di incontrare persone mi sono sentito come un tramite tra il defunto e il parente e così ho chiesto al Signore di concedermi il dono di dare anche solo un briciolo di sollievo a chi mi trovavo di fronte, perché ero certo che anche soltanto quello sarebbe stato un dono grande», racconta. Tanti poi i morti che sono arrivati in cimitero senza parenti. E quelli che hanno seguito i propri cari a distanza di pochi giorni. Non solo per coronavirus: «C’è stato un caso in cui, dopo la morte della madre per Covid, il figlio ha deciso di togliersi la vita. È stata davvero una situazione molto pesante».

In conclusione, fra Roberto sintetizza così la sua esperienza: «Il fatto di essere stato vicino a persone che in quel momento non avevano nessuno e di aver potuto dar loro un po’ di conforto è stato come se anch’io avessi ricevuto un dono».

 

 

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