Quale eredità ha lasciato papa Francesco e come tenere vivo il suo magistero? Parte da questa domanda, che in questi giorni è nel cuore di tutti, la riflessione di monsignor Luca Bressan, teologo e vicario episcopale per la Cultura, la carità, la missione e l’azione sociale. «È difficile parlare di una sola eredità. Ritengo che, più complessivamente, la grande eredità che lascia è aver aiutato la Chiesa ad aprirsi e a non aver paura di incontrare le tante dimensioni di un cambiamento d’epoca, di un mondo che sta mutando radicalmente e con il quale è necessario confrontarsi senza chiudersi in una torre d’avorio».
Appunto, si tratta di un’eredità complessa perché sfaccettata, che ha parlato alle periferie concrete ed esistenziali e che, per questo, è difficilmente definibile?
Più che difficile direi che è poliedrica, quasi impossibile da ricondurre a una sola dimensione. Un’eredità, tuttavia, che proprio per questa sua poliedricità è molto bella, perché frutto di un magistero così articolato che è riuscito a intercettare molte persone e sensibilità. Il suo più importante testamento e che è stato finora poco valorizzato, secondo me, è l’ultima enciclica che ha scritto, Dilexit nos, dove il Papa ha messo in luce il cuore di tutto il suo pensiero e anche della sua vita spirituale. L’incontro con il grande amore di Dio in Gesù: la teologia dell’affetto, ossia che noi incontriamo Dio facendo esperienza della misericordia. Un richiamo, questo, già presente in alcune sue esortazioni apostoliche come Evangelii gaudium, ma anche Amoris laetitia.

Si è detto sempre che il cuore del pontificato di Francesco è stata la vicinanza ai poveri e agli ultimi, ma forse questa unica insistenza riduce la portata del suo messaggio?
Effettivamente vi è stata una sorta di riduzione sociale nella ricezione dell’opzione preferenziale per i poveri e papa Francesco stesso la spiega bene nell’ultima enciclica attraverso la teoria della riparazione. Quello a cui siamo chiamati come cristiani è riparare, riconciliare all’amore di Dio per portare pace e gioia laddove il peccato e la discordia causano lacrime e pianto. Questo riferimento torna più volte in Dilexit nos. Tra gli aspetti meno evidenziati, ma ben presente in tutte le sue catechesi, credo che vi sia il richiamo a un principio di male, il demonio, che opera nel mondo e che dobbiamo imparare a contenere.
L’appello alla pace del Papa è stato continuo, ma disatteso. All’interno di questa idea del male che esiste si inserisce anche il fatto che in tante parti del mondo si combatte la «terza guerra mondiale a pezzi»?
Da questo punto di vista ritengo che Francesco non si sia mai preoccupato di quanto la sua predicazione fosse realizzabile o corretta politicamente. Non ha mai smesso di denunciare chi ama disseminare odio e male, perché questo era ed è fondamentale per ogni cristiano. Paradossalmente proprio in questi giorni vediamo come anche il suo funerale sia diventato un’occasione di pace e di costruzione di cammini. Sicuramente ciò che stupisce è lo scetticismo di tante persone, anche tra noi cristiani, nell’immaginare che sia possibile un cammino di pace reale. Dietro le molte denunce del Pontefice penso che ci fosse anche la sofferenza per una pace che non crediamo più possibile.
Questa predicazione è un punto di non ritorno? Chiunque verrà dopo papa Bergoglio, alla guida della Chiesa universale, di qualunque estrazione territoriale sia, dovrà tenere conto di queste osservazioni?
Senza dubbio, anche perché la centralità del messaggio di pace nel magistero e nella predicazione dei pontefici non è una novità. Da Benedetto XV che esortava a schierarsi contro la guerra definita «un’inutile strage», agli appelli di Paolo VI («mai più la guerra» come disse alle Nazioni Unite), fino alle prese di posizione di Giovanni Paolo II, senza dimenticare Benedetto XVI. Direi che, nel magistero dei Papi del Ventesimo secolo e di questo inizio di Ventunesimo, un aspetto cruciale è stato proprio ricordare a un mondo che l’ha dimenticato e che continua a farlo, come effettivamente la pace sia una condizione che aiuta gli uomini e le donne a riconoscere il disegno di Dio nella nostra vita e quindi a costruire in positivo il futuro. Il guadagno che papa Bergoglio ha, forse, portato in più rispetto al passato, è con la sua enciclica Fratelli tutti, dove ha cercato di basare la possibilità della pace su una logica di fede con una fraternità che ci unisce, perché siamo tutti figli di Dio.




