Con papa Francesco, la famiglia è tornata a essere nodo centrale: un magistero sfidante, costretto a ripensarsi, a stare insieme, ma sempre con un rinnovato sguardo di speranza. Francesco Belletti, sociologo e direttore del Cisf (Centro Internazionale Studi Famiglia), offre una lettura personale del suo pontificato, a partire da ciò che ha significato per la famiglia e la genitorialità.
Che cosa lascia in eredità Papa Francesco al mondo della famiglia e quale ricordo ne conserva il Cisf?
Il magistero di Papa Francesco è partito subito con una grande attenzione alla famiglia: i due Sinodi, l’Amoris Laetitia. All’inizio del suo pontificato il tema la famiglia è divenuto un nodo di verità dell’umano, un nodo antropologico. Ha chiamato tutti a ripensare a come si costruisce la persona, a come si costruiscono i valori, quindi per chi si occupa di famiglia è stato un papato di profezia, di conferma, con linguaggi e con modalità molto diverse rispetto a due altri grandi papi che avevano molto dato attenzione alla famiglia, come papa Benedetto e come papa Giovanni Paolo II. Ma soprattutto con questa incredibile forza della testimonianza dei gesti. Papa Francesco bisognava guardarlo negli occhi, bisognava vedere come si comportava con le persone e capire cosa voleva dire quando parlava di famiglia.
Oltretutto ha sempre parlato dell’importanza di desiderare la genitorialità e di viverla con responsabilità e consapevolezza.
Il suo amore alla persona e alla famiglia lo ha reso molto libero, anche poco attento al politicamente corretto, poco attento a cose date per scontate, per cui i suoi richiami all’attenzione alle persone, alla tutela dei bambini quando venivano maltrattati o violati, ma anche all’idea che mettere al mondo un figlio sia rifare il mondo, sia il modo migliore con cui una coppia può essere nel flusso della storia e testimoniare la speranza. Ha saputo essere una parola libera in un mondo che troppo spesso ha avuto un’impostazione ideologica quando si parlava di famiglia. Se seguivi quello che diceva papa Francesco, ogni persona poteva trovare l’umanità e la bellezza dell’essere famiglia.

Come ha modellato e ispirato anche il vostro lavoro?
Se dovessi definire con una parola il magistero di Papa Francesco, sarebbe sfidante: Ha rimosso tutti i concetti consolidati ed è stato capace di mettere in crisi il magistero sulla coppia, offrendo comunque una prospettiva di possibilità. Quindi per noi è stato come un obbligo di ripensare, per esempio, i fondamenti dell’essere famiglia, quindi il rapporto tra le generazioni e la differenza tra maschile e femminile. E su questo Papa Francesco ha rinforzato il magistero e contemporaneamente non ha dato per scontato niente. Ha richiamato il valore dei nonni, ha richiamato il valore dei legami in famiglia. Lascia le persone di fronte a una responsabilità personale, mette in movimento ciascuno, le singole persone in famiglia, ma anche chi come noi è un centro di ricerca sulla famiglia, ci ha costretto a non dare per scontato niente.
Quale delle vostre esperienze, risultato o iniziativa oggi rappresenta emblematicamente la voce e la coerenza di Papa Francesco?
Negli ultimi anni abbiamo dedicato una particolare attenzione al rapporto tra le generazioni, cioè che la famiglia non vive solamente del rapporto di coppia nel presente ma vive di storia, di memoria e di futuro. E allora da Francesco abbiamo avuto conferma e stimolo a investire su un’idea di bambini come un dono per il futuro e sull’idea degli anziani come un dono di memoria, di saggezza e di chiamata alla cura. Ci ha costretto a dare più spessore ad alcune delle parole chiave che troppo spesso nella modernità si sono un po’ persi. Non pensare al sé ma pensare al Noi, non pensare all’individuo isolato ma pensare all’individuo e alla relazione.
A proposito di eredità: anche per prossimo Pontefice, qual è l’insegnamento chiave su cui dovrà proseguire il lavoro sulla famiglia?
Dopo un magistero così sfidante e con una testimonianza così personale, il nuovo pontefice dovrà scegliere come porsi e probabilmente quello che dovrà confermare è la prossimità, cioè l’idea che la Chiesa, questa Chiesa, il singolo parroco e il singolo credente riesca a vedere la persona prima delle leggi e delle regole. E questo sguardo offrirà grande libertà e speranza, perché sarà di certo seminatore di speranza per tutti, anche per chi non crede. In qualche modo è come dire farsi prossimo, che era una parola di Martini ma che Bergoglio ha testimoniato fino in fondo. Anche il suo ultimo gesto a me ha colpito moltissimo, che il Signore gli abbia regalato, come ultimo gesto pubblico, di stare insieme alla gente a San Pietro. È come se avesse detto “questo è il modo in cui volevo consegnare la mia vita al padre”.
Ricorda un momento particolare che lo ha colpito, e che le ha dimostrato l’eccezionalità e la singolarità di questo pontefice?
Quando riusciva a stare direttamente con le persone, fuori da ogni discorso ufficiale. E la scelta di alloggiare al Santa Marta e di non stare più negli appartamenti papali, la sua sete dello stare con gli altri. La sua stessa esperienza di fede era alimentata dal vivere in comunità, e lo ha confermato. Questo è stato il magistero del gesto, il magistero dello stare insieme.




