Link: https://www.chiesadimilano.it/news/chiesa-diocesi/ai-giovani-dare-lesempio-non-prediche-o-lezioni-2511462.html
Percorsi ecclesiali

Proposta pastorale 2023-2024

Sirio 09 - 15 dicembre 2024
Share

Educazione affettiva

«Ai giovani dare l’esempio, non prediche o lezioni»

Secondo lo psicoterapeuta e scrittore Alberto Pellai È questa una delle ricette possibili per una buona formazione dei giovani

di Stefania CECCHETTI

8 Ottobre 2023
Foto iStock

Nel secondo capitolo della Proposta pastorale Viviamo di una vita ricevuta l’arcivescovo Delpini si concentra sul tema dell’educazione affettiva. Ne abbiamo parlato con Alberto Pellai, medico, psicoterapeuta dell’età evolutiva e scrittore.

Cosa significa oggi educare all’affettività?
Significa promuovere una dimensione fondante l’essere umano, una dimensione di valori, di relazione, di connessione intima e di costruzione di un “noi” invece che di tutela dell’io. Educare agli affetti vuol dire insegnare a vedere l’altro dentro alla mia vita come un’opportunità di trasformazione, di evoluzione, di costruzione della coppia. E la coppia crea qualcosa che altrimenti non ci sarebbe: ci si mette insieme con l’intento di generare qualcosa che da soli non potremmo generare.

L’Arcivescovo dice che è importante che su questi temi la sapienza cristiana non sia ridotta a un «volume impolverato». Qual è secondo lei il contributo della cultura cattolica in questo ambito educativo?
Sarebbe già tanto applicare in modo coerente nel contesto contemporaneo il principio “ama il prossimo tuo come te stesso”. Dentro mi sembra ci sia già tutto: rendere l’altro soggetto d’amore e non oggetto d’amore è forse il messaggio più rivoluzionario che la dottrina cattolica ci dà, in un tempo in cui, invece, il consumismo sia degli affetti sia dei sentimenti impera. Credo che anche i comandamenti abbiano qualcosa da insegnarci, potremmo proprio smettere di guardarli come prescrizioni calate dall’alto e cominciare a percepirli come indicazioni che, coltivate dentro di noi, davvero rendono possibile l’evoluzione del nostro essere umani.

In effetti l’Arcivescovo suggerisce proprio di non offrire ai ragazzi precetti calati dall’alto, ma di farsi compagni nel loro cammino. Come fare?
Intanto evitando di affrontare i temi dell’affettività con prediche o lezioni, bensì rendendoli argomenti da condividere nel quotidiano, all’interno dello spazio relazionale, imparando a non giudicare ma a promuovere invece la costituzione di significati. Soprattutto, facendo molte più domande invece che dare risposte. E poi credo che il ruolo più grande che l’adulto possa rivestire su temi così importanti sia offrire la propria testimonianza.

Quali sono i punti di riferimenti sul territorio per una educazione affettiva dei giovani?
Direi tutte le agenzie educative e in generale i luoghi di animazione dei ragazzi sono oggi posti in cui è possibile favorire un’educazione che sia emotiva, affettiva, sentimentale e sessuale. Non immaginiamo che sui campi da calcio o a danza questi temi non c’entrino, perché sono tematiche che entrano potentissime in tutti i contesti di socialità, per esempio dentro all’esperienza dello spogliatoio. Quindi ogni luogo potenzialmente può diventare un luogo di allenamento alla vita oltre che di allenamento a un determinato sport. L’altro aspetto che credo oggi sia molto importante è portare ai ragazzi le narrazioni e le testimonianze di persone reali, come la proiezione di film che raccontano e mostrano, in modo bello o problematico, una gamma di situazioni offrendo poi occasioni per il dibattito e il confronto. Non conta tanto quello che diciamo ai ragazzi, molto più efficace è quello che si genera in loro all’interno di esperienze condivise.

Educazione all’affettività e Internet: come proteggere i ragazzi nell’era del web?
In questo momento i problemi più grandi nascono da questo paradosso: bambini e bambine hanno in mano strumenti potentissimi, che fanno entrare dentro alle loro vite i grandi temi dell’attualità in modo totalmente inadeguato, mentre spesso il loro ambiente educativo è invece completamente silenzioso e privo di proposte su questi argomenti. Dobbiamo cominciare a capire che quest’area della loro vita deve davvero essere curata e presidiata, inserita dentro un progetto educativo. Come genitori ed educatori dovremmo essere molto accorti nello sdoganare troppo presto certi strumenti nella vita dei bambini. Credo sia necessario ritardare l’accesso autonomo a strumenti digitali che poi rimangono appiccicati alla loro vita, al loro corpo e alle loro abitudini e spalancano territori di esplorazione inadeguati. Su questo dobbiamo generare una nuova alleanza tra famiglie e agenzie educative, che riveda un po’ questa sorta di pseudo entusiasmo tecnologico.